04/10/2025, 10.58
INDIA
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Himachal Pradesh, 12enne dalit si suicida dopo essere stato umiliato

di Nirmala Carvalho

Il ragazzo, accusato di aver “contaminato” la casa di una famiglia di casta superiore, è stato picchiato e rinchiuso in una stalla. Pretendevano dai genitori una capra come sacrificio per “purificare” l’abitazione. Il vescovo della diocesi di Simla e Chandigarh ad AsiaNews: "Non è una tragedia individuale, ma un peccato sociale. Siamo tutti responsabili se le strutture di discriminazione restano impunite".

Shimla (AsiaNews) – Un ragazzo dalit di 12 anni si è tolto la vita ingerendo del veleno dopo essere stato picchiato e rinchiuso in una stalla da alcune donne di casta superiore, che lo accusavano di aver “contaminato” la loro casa entrando per errore all’interno. Il drammatico episodio è avvenuto lo scorso 16 settembre scorso nel villaggio di Limbda, sottodivisione di Rohru, nel distretto di Shimla, nello Stato indiano settentrionale dell’Himachal Pradesh.

Secondo quanto riferito, il bambino, alunno di sesta classe e appartenente alla comunità Koli, si era recato a comprare della merce in un negozio gestito da una donna di nome Pushpa Devi. Non trovando nessuno al banco, era entrato nell’abitazione adiacente in cerca di aiuto. Per questo gesto sarebbe stato aggredito da Pushpa Devi insieme ad altre due donne.

Il padre ha raccontato: “Mio figlio era andato ad acquistare alcuni generi alimentari in una bottega gestita da Pushpa Devi, accanto alla sua casa. Non c’era nessuno al bancone, così è entrato in casa passando dal balcone cercando qualcuno che potesse aiutarlo. Solo per questo, Pushpa Devi insieme ad altre due donne lo hanno punito”.

Secondo la denuncia, il ragazzo è stato accusato di aver “inquinato” la casa e la famiglia Rajput avrebbe preteso come punizione una capra da sacrificare per purificare l’abitazione. Pushpa Devi, dopo aver catturato il ragazzo spaventato, “ha chiamato mio fratello minore - ha aggiunto il padre, che lavora come muratore - e gli ha detto che mio figlio aveva ‘contaminato’ la sua casa, e che doveva riferire a noi che avremmo dovuto darle una capra per il sacrificio”.

Il bambino sarebbe stato chiuso in una stalla e picchiato, con la minaccia che non sarebbe stato liberato finché la famiglia non avesse portato la capra. Poco dopo, traumatizzato dalle umiliazioni, il 12enne ha ingerito una sostanza velenosa. Trasportato d’urgenza prima al centro sanitario di Rohru e poi all’Indira Gandhi Medical College di Shimla, è morto durante le cure.

La polizia ha aperto un’inchiesta contro le donne accusate, che tuttavia hanno già ottenuto la libertà su cauzione anticipata da un tribunale locale.

L’episodio ha suscitato rabbia nella comunità locale. Il Dalit Shoshan Mukti Manch (DSMM) ha condannato duramente l’accaduto, chiedendo l’arresto immediato delle responsabili ai sensi della legge per la prevenzione delle atrocità contro le caste registrate (SC/ST Prevention of Atrocities Act, 1989), e ha minacciato un movimento di protesta se non verranno presi provvedimenti.

Mons. Sahaya Thatheus Thomas, vescovo di Simla e Chandigarh, ha dichiarato ad AsiaNews commentando l’accaduto: “Non si tratta semplicemente di una tragedia personale, ma di un peccato sociale. Il Vangelo ci insegna che il peccato non è solo individuale, ma anche collettivo; la nostra società è responsabile quando le strutture di discriminazione e di intoccabilità restano impunite e inalterate. Parole e atti così disumanizzanti – continua il presule - non sono semplici ‘usanze’, ma una negazione della nostra umanità condivisa, una violazione dell’immagine di Dio presente in ogni persona. Trattare qualcuno come ‘intoccabile’ significa negare questa immagine, anteporre la nostra paura, il nostro pregiudizio o la nostra casta alla dignità che Dio ha donato”.

“Gesù pianse davanti alla tomba di Lazzaro – conclude mons. Sahaya Thatheus Thomas -. Anche noi dobbiamo piangere. Non come spettatori passivi, ma come persone che condividono il peso, che cercano giustizia e che si rifiutano di permettere che il dolore diventi solo un numero. E dobbiamo ascoltare la voce di questo bambino innocente. Non è entrato in quella casa con malizia, ma cercando aiuto ed è stato accolto con disprezzo e crudeltà. La sua morte ci grida: ‘Non sono forse tuo fratello? Non sono forse tuo figlio?’. Possano questo ragazzo e la sua famiglia ottenere giustizia”.

P. Devasagaya Raj, ex segretario nazionale dell’Ufficio Conferenza episcopale cattolica dell’India per i dalit e le classi svantaggiate, ha dichiarato ad AsiaNews: “La maggior parte dei bambini delle scuole elementari e medie non sa nemmeno cosa sia la casta. Il concetto di purezza e contaminazione che fa parte di questo sistema porta la gente a credere che esistano persone pure e impure”.

Il sacerdote ha ricordato che “l’articolo 17 della Costituzione indiana abolisce la pratica dell’intoccabilità e ne proibisce l’applicazione in qualsiasi forma, dichiarando tali atti reati punibili. Solo la rigorosa applicazione della legge sulla prevenzione delle atrocità contro le classi svantaggiate e le tribù riconosciute e la punizione per chi è stato la causa della morte del ragazzo di 12 anni potranno prevenire il ripetersi di simili atrocità in futuro”. 

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