15/02/2022, 09.57
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I 5 temi chiave delle elezioni libanesi di maggio

di Fady Noun

Affluenza, voto cristiano, le scelte dei sunniti, il “muro sciita” e le opposizioni sono i punti attorno ai quali ruota la contesa elettorale. In gioco il futuro di un Paese sull’orlo del baratro per la crisi economica e finanziaria. La rinuncia di Saad Hariri e le mire di Hezbollah.

Beirut (AsiaNews) - Il prossimo 15 maggio poco più di 3,9 milioni di elettori saranno chiamati alle urne secondo il sistema proporzionale per eleggere i 128 deputati dell’Assemblea nazionale, egualmente suddivisi fra cristiani e musulmani, per un mandato di quattro anni. In un clima politico ed economico teso che contraddistingue l’attuale situazione del Libano, secondo fonti autorevoli e univoche queste votazioni sono caratterizzate da cinque fattori principali: il tasso di partecipazione; l’esito della lotta interna ai cristiani; l’occupazione del terreno sunnita; le possibilità di affermazione dell’opposizione; e, infine, le possibili crepe all’interno dell’elettorato sciita. Intanto, la comunità internazionale segue da vicino i preparativi che portano al voto e insiste affinché esso si svolga nei tempi previsti dalla legge, senza ulteriori rinvii. 
Ecco, analizzati per punti, i cinque elementi chiave del voto. 

Il dato sulla partecipazione

Alle ultime elezioni, nel 2018, il dato relativo all’affluenza è stato del 49%. A oltre due anni di distanza dalle rivolte popolari dell’ottobre 2019, i libanesi - questa volta - si mobiliteranno in massa per recarsi alle urne? La questione è centrale, perché come spiegano gli esperti una grande partecipazione popolare e una forte adesione al voto dovrebbero favorire i movimenti di opposizione. E questo potrebbe anche avvenire, a condizione che le forze di opposizione riescano a smuovere e convincere l’elettorato sinora indeciso. Tuttavia, sulla sponda sunnita vi è un certo rischio di astensionismo dopo la decisione del leader della Corrente del futuro, Saad Hariri, di boicottare le elezioni. 

Gli unici elementi sui quali si può fare oggi affidamento sono quelli relativi al dato sulle iscrizioni dei libanesi all’estero. Quest’ultimo è quasi triplicato rispetto al 2018 (225mila contro 80mila), e ciò lascia presupporre una mobilitazione più consistente. Diversi commentatori prevedono che il voto dei libanesi all’estero andrà in buona parte a favore delle Forze libanesi di Samir Geagea, che si sono in parte distanziate dagli schieramenti legati al sistema e che vantano un consistente bacino elettorale nelle zone in cui è più presente la diaspora, soprattutto negli Stati Uniti. 

La battaglia cristiana

Essa costituirà, senza alcuna ombra di dubbio, la madre di tutte le contese. La sfida principale è sapere quale fra le Forze libanesi o la Corrente patriottica libera (Cpl) di Gebran Bassil, genero del presidente Michel Aoun e in calo nei sondaggi, arriverà in testa. Attualmente le Forze libanesi possono contare su 15 deputati, contro i 24 del gruppo parlamentare “aounista”. Tuttavia, i risultati dell’uno e dell’altro schieramento dipenderanno in gran parte dai giochi delle alleanze. Non bisogna peraltro dimenticare che le Forze libanesi hanno perso il loro alleato nel Paese, la Corrente del futuro di Saad Hariri, mentre questo non è il caso dell’altra fazione legata al Cpl. Il partito vincitore diventerà essenziale nella scelta del futuro presidente, anche se la nomina di quest’ultimo dovrà con tutta probabilità essere oggetto di un più ampio consenso sia a livello locale che regionale. Nel fronte cristiano vi è infine la Falange libanese della famiglia Gemayel: nei giorni scorsi il leader Samy Gemayel ha annunciato il sostegno a Majd Hard, figlio dell'ex ministro e parlamentare Boutros Harb, nel distretto di Batroun dove, a suo giudizio, si giocherà "la madre di tutte le battaglie". 

L’occupazione del terreno sunnita

Questa è una delle principali incognite. L’annuncio del ritiro della Corrente del futuro, il 24 gennaio scorso, ha colto tutti di sorpresa e portato a un rimescolamento delle carte. Pur avendo auspicato che i membri del suo partito non partecipino alla corsa elettorale, Saad Hariri non potrà certo impedire che personalità sunnite come l’ex primo ministro Fouad Siniora si tuffino nella battaglia.

Del resto la concorrenza non deve essere certo presa alla leggera. Oltre ai sunniti indipendenti - che rappresentano il 30% dell’elettorato e che hanno il sostegno di Hezbollah - devono essere presi in considerazione diversi concorrenti. In primis Baha' Hariri. Il maggiore della famiglia Hariri ha una potente macchina elettorale e ingenti risorse. Tuttavia, rimangono dubbi sulla sua capacità di mobilitare gli elettori della Corrente del futuro. Di contro, vi è un altro magnate sunnita che potrebbe riuscire a ottenere un ritorno investendo nell’agone politico. Si tratta di Fouad Makhzoumi, che si è sempre saputo mostrare ben saldo al cospetto di Hezbollah e dei circoli bancari. Da parte sua, Joseph Bahout direttore dell’Istituto Issam Fares presso l’università americana di Beirut, dice di temere che il boicottaggio delle elezioni da parte di Saad Hariri andrà a beneficio di Hezbollah, oltre a favorire alcune frange fondamentaliste sunnite. 

Le chances delle opposizioni

Le previsioni che danno alle opposizioni un’alta probabilità di sfondare a causa dell’ira e del malcontento popolare dovrebbero essere prese con grande cautela. Sarà decisiva la capacità degli attori della società civile di unirsi attorno a un programma coerente. Uno sforzo che è mancato in occasione del voto del 2018. Le divergenze in seno all’opposizione si cristallizzano soprattutto attorno all’alleanza con gli attori politici tradizionali, che dicono di essere legati ai movimenti di contestazione, come Kataëb o quelli degli ex deputati Neemat Frem o Michel Moawad. Se il fronte delle opposizioni riesce a mettere da parte le differenze e i conflitti di personalità, e se essa riesce a presentare candidati credibili, potrebbe certo beneficiare dell’esasperazione dei circoli popolari, in special modo all’interno degli ambienti cristiani e sunniti.

L’impermeabilità del “muro sciita”

In teoria, questa è una delle poche certezze del voto: il tandem formato da Hezbollah e Amal dovrebbe ottenere più o meno lo stesso numero di deputati (27). Per il fronte sciita che il dato sulla partecipazione sia alto o basso non fa grande differenza, perché il loro blocco elettorale è pressoché invariabile come osserva l’esperta Georgia Dagher. Ciononostante, stanno emergendo alcuni gruppi in rappresentanza dei movimenti di contestazione nella regione a forte maggioranza sciita, che sperano di far breccia in questo muro incrollabile.

Colpita come altre comunità dalla crisi economica e finanziaria, la base popolare sciita potrebbe ricorrere al voto per punire i rappresentanti storici, in special modo fra gli elettori del movimento Amal, secondo gli esperti il più colpito dal collasso economico. Secondo l’analista politico Assem Chaaya “non dobbiamo dare per scontata la forza dei due grandi attori sciiti alla prova delle urne”. Nel suo studio, lo specialista stima che Hezbollah (343mila voti) e Amal (204.199 voti) insieme abbiano ottenuto 547.199 voti su un totale di 1.068.274 elettori sciiti nel 2018, dato che non rappresenta affatto una maggioranza assoluta come tendiamo a credere.

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