Il Battesimo della Rus’-Russia-Ucraina
Kiev ha appena festeggiato l'anniversario del Battesimo voluto dal principe Vladimir con un Sinodo che ha condannato l'ideologia del "mondo russo". Mentre il calendario giuliano permetterà ai russi, tra pochi giorni, di celebrarlo da soli gloriandosi della resistenza alla depravazione e all’eresia occidentale, in quell'isolamento che è la dimensione che a Mosca oggi meglio definisce il concetto di “ortodossia”.
La Chiesa ortodossa autocefala dell’Ucraina Pzu ha tenuto il 14 luglio un Sinodo dei vescovi, per festeggiare insieme i 1.700 anni del Concilio di Nicea e i 1.037 anni del Battesimo della “Rus’ di Kiev-Ucraina”, secondo il nuovo titolo dato già dal 2008 all’evento originario del cristianesimo sulle rive del fiume Dnipro, con il Battesimo imposto all’intera popolazione dal principe Vladimir il Grande ravnoapostolskij, “uguale agli apostoli”. Lo stesso presidente Volodymyr Zelenskyj ha sottolineato l’unione dei termini Rus’-Ucraina, per ricordare “la storia che ha costituito il nostro Stato, unendo decine di generazioni successive del nostro popolo”.
La formulazione appare ovviamente una forzatura, in quanto il termine ukraina si è cominciato ad usare solo nel XVII secolo per determinare le terre “di confine” delle comunità rivoltose dei cosacchi, che si sono poi unite all’impero degli zar di Mosca per liberarsi dal tallone dei re polacchi. E d’altra parte, anche la fusione di Rus’ e Russia, pur semanticamente più logico, non ha una giustificazione storica reale, non essendoci alcun evento di “passaggio” formale tra l’antico Stato dei principati di Kiev e la nuova “Santa Russia” di Mosca dopo i due secoli del giogo tataro-mongolo, tra il XIII e il XV secolo, che gli stessi russi chiamavano semplicemente “Moscovia”. In fondo Rus’ è un termine mitologico senza specificazioni etniche, e Rossija – Russia suggerisce piuttosto un ampliamento all’integrazione con altri popoli, caucasici ed asiatici, ugro-finnici e uralici, tanto che gli ucraini accusano i russi di avere perso la “purezza russica” che solo essi conservano in discendenza dall’antica Kiev, pur essendo a loro volta mescolati con diverse altre etnie.
Le diatribe etno-culturali tra Kiev e Mosca sono proprio le caratteristiche distintive di questa storia millenaria, considerando che nei primi tre secoli Mosca non esisteva, avendo cominciato ad imporsi solo dopo il 1300 proprio grazie agli accordi con i tartari, e per oltre tre secoli non è più esistita Kiev, rasa al suolo dai mongoli nel 1240 e risorta soltanto a fine Cinquecento. Subito dopo la scomparsa del principe Vladimir nel 1015 i suoi figli si erano contesi la successione, in quella perenne sequenza di conflitti interni che viene ricordata anche nella liturgia slava come i meždousobnja brani, le “lotte fratricide” per cui chiedere continuamente perdono al Signore. Nel 1169 il principe Andrej Bogoljubskij distrusse Kiev per la prima volta per “salvarla” dall’invasione dei nemici asiatici bogomili, e trasferì la capitale del “gran principe” nella città più interna di Vladimir, da cui ha avuto origine la stessa Mosca, inaugurando la “sostituzione” del centro della Rus’ che si protrae ancora oggi, da Kiev a Mosca, da San Pietroburgo di nuovo a Mosca, e oggi di nuovo nel conflitto tra Kiev e Mosca.
Per questi motivi l’interpretazione della storia si evidenzia come uno dei fattori determinanti del conflitto, esprimendo due opposti modelli di una popolazione sparsa sull’immenso territorio che unisce Oriente e Occidente, Europa e Asia, senza mai riuscire a dominarlo fino in fondo, essendo troppo esigua come consistenza e troppo indecisa nel suo vero orientamento. Ogni forzatura dovuta alle guerre locali e universali non fa che riproporre questa grande ambiguità, che riguarda i due popoli eredi del Battesimo di Kiev, e insieme ad essi altri popoli slavi, finnici, latini, germanici, nordici, asiatici e di molte altre varianti dell’artificiosa divisione continentale dell’Eurasia, dove non c’è un vero confine, una ukraina geografica, storica, culturale e nemmeno religiosa.
Gli ucraini quindi festeggiano il Battesimo nel giorno dedicato alla morte di Vladimir, il 15 luglio secondo il calendario gregoriano, che in Russia cade il 28 luglio secondo il calendario giuliano, conservato dai russi in polemica con i latini e rinnegato dagli ucraini nel 2024, distanziandosi anche in questo per le relazioni con l’Occidente. Il Sinodo dei vescovi ortodossi ucraini autocefali insiste quindi sulla concezione dell’Ucraina come “Paese libero e democratico, che rispetta la libertà di coscienza e di professione religiosa per tutti”, in cui i comandamenti divini sono stati rivelati al popolo “non soltanto per ripeterli a memoria, ma per realizzarli ogni giorno nella vita, nelle scelte e nelle azioni di ciascuno”, e questo risalendo alle “fonti e radici del nostro Stato indipendente fino al principato di Kiev”. A fronte di ciò, “l’impero russo cerca di distorcere il vero significato storico della Rus’ come antico Stato ucraino, e in modo menzognero e senza fondamento cerca di attribuirlo a sé stesso”, affermano i vescovi, invitando a “ribadire la scelta compiuta oltre mille anni fa dai nostri avi, proclamando l’Ucraina come un vero Stato europeo”.
Il documento approvato dal Sinodo critica anche esplicitamente la concezione del “mondo russo”, chiamata lžeučenie, una “falsa dottrina” basata su “principi eretici di etno-filetismo, manicheismo e gnosticismo”, richiamandosi anche ai dogmi del concilio di Nicea per “restaurare la Pienezza della Chiesa di Cristo e per smascherare, respingere e condannare questo nuovo insegnamento eretico e omicida del mondo russo, e invitiamo tutti coloro che ne sono stati avvelenati al pentimento e alla correzione”. Lo stesso metropolita di Kiev Epifanyj (Dumenko), capo della Chiesa Pzu, ha sottolineato l’importanza della scelta del principe Vladimir “in favore della fede, della verità, della cultura e della civiltà europea, che è il fondamento dell’identità ucraina, della nostra nazione e del nostro Stato che il nostro nemico sta cercando di distruggere… come mille anni fa, la nostra forza sta nell’unità, nel sacrificio e nell’amore verso il proprio popolo”.
Il fatto di essere rimasti di fatto l’unica Chiesa ortodossa a conservare il calendario giuliano permetterà quindi ai russi, tra pochi giorni, di festeggiare il Battesimo gloriandosi della resistenza alla depravazione e all’eresia occidentale, e l’isolamento in questo senso è la dimensione in cui la Russia meglio definisce il proprio concetto di “ortodossia”, non tanto come affermazione dei dogmi della “vera fede” (su questo avrebbe ben poco da distinguersi), quanto come ultimo baluardo contro tutti gli “eterodossi”, pravoslavnye contro inoslavnye, ciò che veramente distingue l’identità russa rispetto anche a quella ucraina, che appunto si propone come identità di inclusione, e non di separazione. Gli uomini di “altra fede”, chiamati con un termine ancora più spregiativo come inovertsy, sono in generale gli “agenti stranieri” tanto maledetti e perseguitati nella Russia putiniana.
Il poeta e diplomatico inglese Giles Fletcher era giunto in Moscovia nel 1588 (sei secoli dopo il Battesimo di Kiev) con una missione commerciale, e ha lasciato degli importanti appunti storico-culturali, riportando il suo stupore per il rigido isolamento del mondo russo rispetto ai principi di civiltà che si stavano diffondendo sempre più in Europa, esportandoli anche nel nascente impero anglosassone al di là dell’oceano. Egli osservava che “pochissime persone imparano a leggere e scrivere” e a qualunque straniero “proveniente da una nazione istruita” era proibito entrare in Moscovia, se non per ragioni strettamente commerciali. Nel 1589, anno della proclamazione del patriarcato di Mosca come “Terza Roma”, un decreto imperiale impose a tutti i mercanti stranieri di risiedere in quartieri periferici isolati della capitale, per evitare che “portassero con sé altre usanze e proprietà, come quelle ad essi abituali nei propri Paesi”. Perfino la delegazione di Costantinopoli, con a capo il patriarca Ieremias II, fu rinchiusa per sette mesi nel palazzo dorato del Cremlino, e solo dopo aver firmato il decreto di istituzione del patriarcato moscovita fu ad essi concesso di lasciare il Paese, senza avere alcun contatto con la stessa popolazione della capitale.
I greci si fermarono poi presso i russi del regno di Polonia, suggerendo di formare un vero e proprio “contraltare” alle pretese moscovite, ciò che portò alla proclamazione dell’Unione di Brest degli ortodossi di Polonia con il papa di Roma nel 1596, che si può considerare – questa volta a buon diritto – la data di nascita dell’Ucraina in sintonia con la civiltà latina europea, e in polemica con le pretese universali dei propri connazionali moscoviti. Da questo ebbe inizio il conflitto che si protrasse per buona parte del Seicento, fino alla “pace eterna” del 1686 con la restituzione di Kiev al potere imperiale e patriarcale di Mosca, la “guerra-madre” dell’attuale “operazione militare speciale” della Russia in Ucraina. Fletcher notava nella sua visita che il rifiuto degli stranieri aveva lo scopo di “mantenere meglio le persone nella loro condizione di schiavi, affinché non avessero la possibilità e neanche la forza d’animo per aprirsi a qualche altra visione del mondo e della vita”.
Poco dopo le guerre dei “Torbidi”, a fine Seicento, il giovane imperatore Pietro il Grande volle invece ribellarsi a questa segregazione, iniziando il suo regno con la “grande ambasciata” in Europa, visitando i Paesi del nord fino all’Inghilterra di Guglielmo III d’Orange, il primo sovrano a cedere parte dei poteri al parlamento istituito nella Camera dei Lord. Pietro aprì la “finestra sull’Europa”, portando usi e costumi occidentali che si riflettono nella sua nuova capitale di San Pietroburgo, e diffondendo in Russia i “vizi capitali” del fumo e della vodka, motivo per cui gli ortodossi più estremi lo condannarono come “l’Anticristo” tanto temuto. Quando però il suo più fedele assistente, Ivan Mazepa, sognò di proclamare una Ucraina indipendente con l’appoggio dei polacchi e degli svedesi, Pietro reagì distruggendo le armate nemiche nella regione orientale ucraina di Poltava, la vittoria del 1709 per cui i russi gli perdonarono i peccati di occidentalismo, istituendo per Mazepa “l’Ordine di Giuda”. Mille e più anni sono trascorsi dalla nascita della Rus’ di Kiev, ma tutto continua a ripetersi allo stesso modo in tutte le salse principesche, imperiali, sovietiche o putiniane, ogni volta in una variante ancora più grottesca delle precedenti.
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