06/09/2025, 08.24
MONDO RUSSO
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Il mondo ortodosso russo in Estonia

di Stefano Caprio

Se in Ucraina lo scontro è tutto interno all’Ortodossia, sulle rive del Baltico sono le grandi tradizioni cristiane di tutta Europa a contendersi una piccola terra e un piccolo popolo, in cui si concentrano i destini di tutti gli altri. E tra i terreni di scontro c'è anche lo storico monastero femminile Pjukhtitskij che si trova a soli venti chilometri dal confine con la Russia.

L’Estonia è da tempo in allerta per una possibile “nuova operazione speciale” della Russia, alla stregua di quella in Ucraina, peraltro ancora lontana da una conclusione. Il Paese più settentrionale dei tre Stati che si affacciano sul mar Baltico, insieme a Lettonia e Lituania, è da sempre uno degli obiettivi sensibili per le mire imperiali della Russia: nel Cinquecento fu assalita da Ivan il Terribile, quando questa zona si chiamava Livonia, con l’intenzione esplicita di imporre la Russia come “Terza Roma” in tutta l’Eurasia, dai baltici agli ultimi khanati dei tataro-mongoli, dalla Turchia alla Siberia. A Narva, il principale porto dell’Estonia, agli inizi del Settecento il giovane Pietro il Grande subì la sua sconfitta più umiliante ad opera degli svedesi, comandati dal re quindicenne Carlo XIII, e per rifarsi l’imperatore russo dovette sacrificare centinaia di migliaia di vite di russi, per costruire nella malefica laguna poco più a nord la nuova capitale di San Pietroburgo, la Nuova Roma che proiettava la Russia sul Baltico e su tutta l’Europa.

Ora Narva segna il punto di confine - di ukraina - tra Estonia e Russia sul fiume da cui deriva il nome estone della città, che i russi chiamano Ivangorod, “città di Ivan”, proprio in onore del primo zar. Le armate dei due eserciti sono schierate sulle sponde del fiume, con evidente sproporzione a favore dei russi e timori crescenti da parte occidentale, considerando che l’Estonia fa parte della Ue e della Nato. Qui del resto si giocò una partita importante anche durante la seconda guerra mondiale, dopo che Stalin aveva stretto con Hitler il patto firmato dai ministri degli esteri Vjačeslav Molotov e Joachim von Ribbentrop, il 23 agosto 1939. I tre Paesi baltici furono concessi al dominio sovietico, e quando poi i nazisti decisero l’invasione dell’Urss con l’Operazione Barbarossa del 1941, proprio gli estoni furono i più convinti sostenitori del regime hitleriano, nella speranza di affrancarsi dall’oppressione dei russi, che in caso di attacco oggi proclamerebbero la “liberazione degli estoni dal nazismo” con ancor maggiore convinzione rispetto agli ucraini.

Più ancora di Narva, i russi rivendicano la “russicità” della seconda città del Paese dopo la capitale Tallin, quella di Tartu (Jur’ev per i russi, Dorpat per i tedeschi) sul fiume Emajygi, che secondo le antiche cronache venne fondata dal principe Jaroslav il saggio, figlio di Vladimir il “battezzatore”, che assunse poi il titolo di Gran Principe di Kiev e “unificatore” dei principati della Rus’. Qui si sono succeduti i conflitti nelle varie fasi storiche, dalla libera repubblica di Novgorod all’Ordine Livonico dei Cavalieri Teutonici, la Reczpospolita di Polonia e Lituania e il regno di Svezia, fino all’impero russo e alla repubblica socialista di Estonia nell’Urss. All’università di Tartu i sovietici concentrarono i migliori specialisti di slavistica, su tutti il padre della semiotica Jurij Lotman, ma anche Boris Uspenskij, Vjačeslav Ivanov e molti altri.

La popolazione estone non raggiunge il milione e mezzo di persone, eppure le percentuali etniche hanno grande significato simbolico, con un 25% di russofoni che oggi vengono spinti sempre più a tornare nella patria originaria. La lingua estone è di ceppo ugro-finnico, sparso in Europa da nord a est e ovest, apparentandosi con i magiari e i baschi, ma la lingua russa è difficile da sradicare nella vita culturale e sociale della popolazione. Tanto più che oltre alle differenze linguistiche contano molto anche quelle religiose, con la pretesa secolare dei russi di imporre l’Ortodossia a un popolo molto latinizzato dai Teutonici e quindi in maggioranza affidato alla libera professione cristiana dei luterani, che raggiunsero l’Estonia già nel 1523, sei anni dopo le tesi sulle indulgenze dello stesso Martin Lutero.

Per questi motivi in Estonia si gioca un confronto “atomico” tra le confessioni cristiane, per certi aspetti molto più pericoloso di quello delle testate nucleari. Se in Ucraina lo scontro è tutto interno all’Ortodossia, sulle rive del Baltico sono le grandi tradizioni cristiane di tutta Europa a contendersi una piccola terra e un piccolo popolo, in cui si concentrano i destini di tutti gli altri. Non a caso l’ultimo patriarca di Mosca del Novecento, Aleksij II, predecessore e “tutore” dell’attuale Kirill (Gundjaev), era un nobile estone di stirpe teutonica, come attesta il suo cognome Ridiger, il “barone Alexis von Rüdiger” che ha guidato la Chiesa russa dal 1990 al 2008, vescovo di Tallinn dal 1961 al 1978, quindi metropolita di Leningrado fino all’elezione patriarcale, alla fine dell’epoca sovietica. Da patriarca egli volle conferire alla Chiesa estone un’autonomia simile a quella concessa a quella ucraina che pretendeva l’autocefalia, come Chiesa autonoma nell’ambito del patriarcato di Mosca.

In Estonia esisteva però anche una Chiesa ortodossa dipendente dal patriarcato di Costantinopoli, eretta nel 1922 con tanto di Tomos di autocefalia poi soppresso dai sovietici, che dopo la fine dell’Urss costituì un forte motivo di contesa con lo stesso patriarca russo-estone Aleksij, anticipando quanto poi avvenuto in Ucraina negli anni successivi. In seguito all’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, il parlamento estone ha preteso da tutti gli ortodossi del Paese di interrompere ogni legame con il patriarcato di Mosca, pena la soppressione della giurisdizione, incorporandola in quella autocefala costantinopolitana, e come in Ucraina questo processo sta provocando forti reazioni e grande confusione nei fedeli.

Un caso particolarmente eclatante riguarda una delle roccaforti dell’ortodossia russa in Estonia, il monastero femminile Pjukhtitskij a soli venti chilometri dal confine con la Russia. Fu fondato a fine Ottocento sul luogo dove si era verificata una miracolosa apparizione della Madre di Dio, chiamato pjukhtitsa che in estone significa “luogo santo”; una specie di Lourdes russo-estone dove avvenivano guarigioni con l’immersione nelle acque fluviali, e dove un contadino aveva trovato nella fessura di una quercia un’icona miracolosa di Maria con il Bambino Gesù. Ancora oggi è meta di pellegrinaggi, che si erano susseguiti anche in epoca sovietica, quando il monastero era l’unica comunità religiosa femminile permessa dalle autorità di Mosca.

Oggi nel monastero vivono quasi cento monache, e il ministero degli interni di Tallinn lo ha definito in questi giorni “il simbolo del mondo russo nel nostro Paese, dove si sovrappongono la religione, il nazionalismo e la nostalgia imperiale”, insistendo sulla necessità di chiuderlo definitivamente, ciò che potrebbe davvero indurre i russi a invadere anche il Paese baltico. L’igumena Filaretja, superiora del monastero, ha protestato vivacemente affermando “pensate ai vostri figli, che hanno un bravo padre, e li vogliono costringere ad accettare un altro padre che ha tante arance nel frigorifero… non vi sembra un inganno e un tradimento?”. Le monache si rifiutano categoricamente di rompere con il patriarcato di Kirill, accusato dagli estoni di essere uno dei principali ispiratori della guerra di Putin.

L’igumena insiste sul fatto che “noi non partecipiamo a nessuna guerra, tutti lo sanno, tantissimi seguono le nostre celebrazioni connettendosi al nostro sito, non c’è neppure bisogno di venire direttamente a trovarci, ascoltate per chi preghiamo, per la pace in tutto il mondo… Noi non siamo responsabili per tutte le parole del nostro patriarca, vogliamo solo essere fedeli alla nostra tradizione”. Le 95 monache vivono in autonomia, lavorando i campi e allevando animali, con un grande alveare per la produzione di miele, molto apprezzato non solo in Estonia e in Russia. Eppure nei loro confronti si accaniscono le accuse “russofobe”, come lamentano i sacerdoti ortodossi locali, al punto che The Telegraph ha pubblicato un lungo articolo dal titolo “La Russia usa le monache come spie e agitatrici della propaganda in Estonia”.

I sacerdoti della giurisdizione costantinopolitana insistono sulla necessità di contrastare l’ideologia eretica del “mondo russo”, che caratterizza il “magistero” del patriarca Kirill. Il padre Aleksandr (Sarapik), parroco della chiesa della Trasfigurazione a Tallinn, dove celebra la liturgia ortodossa in lingua estone, racconta a Currentime la storia della sua vocazione, quando da giovane cercava risposte alla sua sete di rinascita nella fede presso i luterani, i battisti e i cattolici, fino a sentirsi accolto veramente solo nella Chiesa ortodossa, in cui ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale negli anni Ottanta nella Chiesa patriarcale moscovita. Quando negli anni Novanta gli ortodossi locali si sono spaccati tra Mosca e Costantinopoli, “abbiamo visto il mondo accendersi in una nuova guerra santa”, racconta padre Aleksandr, “come se fossimo tornati al Medioevo nelle crociate contro i musulmani, e oggi il patriarca Kirill deve rispondere delle sue parole e delle sue azioni davanti a Dio”. Nell’Estonia del grande nord dell’Europa si vive in attesa di una nuova apocalisse, pregando nei monasteri e nelle chiese in lingue diverse, sperando che l’Altissimo riesca a capire tutti coloro che vogliono davvero la pace.

 

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