05/07/2025, 09.15
MONDO RUSSO
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Il nuovo muro di mine della guerra dei mondi

di Stefano Caprio

Mentre - lasciato alle spalle il trattato di Ottawa che ne prevedeva la messa al bando - si dispongono le mine per formare l’abisso invalicabile con la Russia, la nuova “cortina di ferro” esplosiva che segnerà il destino dei popoli nei tempi a venire, a Roma il Sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina disc uteva con papa Leone XIV su come procedere con lo “sminamento spirituale” del cuore degli uomini.

La riduzione americana della consegna di sistemi di difesa all’Ucraina, aprendo i cieli ai missili della Russia per continuare a distruggere città e case della popolazione inerme, è stata dichiarata dal presidente Usa Donald Trump, ma è chiaramente un’indicazione proveniente dal Cremlino, forse per spartirsi meglio il dominio sui mondi: a te l’Ucraina, a me l’Iran, e così per tutto il resto. Questo è l’esito probabile della nuova disposizione della geopolitica, che sancisce la vittoria del disegno di Vladimir Putin nello scardinare l’“egemonia globalizzata” e imporre un “mondo multipolare”, che significa esaltare il conflitto e la divisione, al posto dell’integrazione e della pace tra i popoli. Torna l’epoca degli imperi, più o meno vasti e autosufficienti, finisce l’era della convivenza tra nazioni diverse e sistemi variabili, una dimensione che almeno formalmente rimane soltanto nell’Unione europea, ma con una prospettiva di sempre più evidente fragilità e impotenza.

Sarà dunque questa la fine della guerra e l’esito delle trattative, che entro l’anno in corso porteranno alla definizione dei nuovi confini militari, geografici, politici e psicologici, in un’estesa ukraina, la “terra di confine” a tutte le latitudini, non importa da dove si calcoli l’Oriente o l’Occidente, il Sud globale o il Nord egemonico. Mentre l’Estonia e gli altri Paesi Baltici, dalla Lituania alla Finlandia, si attrezzano per fronteggiare la sempre più crescente pressione russa, la decisione di Kiev di uscire dalla convenzione internazionale contro le mine porterà alla definizione di un nuovo “muro minato” tra Ucraina e Russia, un territorio esplosivo tra le regioni occupate e quelle che Mosca intende definire “zona neutra de-militarizzata”, ma che sarà quasi impossibile da attraversare restando incolumi.

Gli ucraini da tempo insegnano agli alunni delle scuole a distinguere tra le mine “a petali”, piccole e quasi invisibili, in grado di tranciare un piede, e le mine “a rana” ad alta azione esplosiva; attualmente sono già minati 137 mila chilometri, il 23% dell’intero territorio ucraino. Sono centinaia le notizie incessanti di cittadini incappati in questi ordigni, considerando che vedere le mine in mezzo all’erba è estremamente difficile per i soldati stessi. Le mine antiuomo sono costruite proprio per essere attivate dalle vittime, hanno lo scopo di uccidere o ferire gravemente le persone più indifese ed inesperte, adulti o bambini, contadini o animali da pascolo, e sono il simbolo di una realtà in cui diventa impossibile difendersi, sia fisicamente che spiritualmente.

Le mine si nascondono e si mascherano, come succede nell’area informatica per le fake news di ogni genere, e rivestono quindi un carattere di stretta attualità. A volte si sistemano sotto la superfice come “recinti minati” sotterranei, e si possono trovare soltanto con attrezzature speciali. Possono anche cessare gli scontri armati sul campo, ma la minaccia delle mine resta per lungo tempo, e solo per la popolazione civile. Lo sminamento umanitario è ancora in corso in Afghanistan, e in molte altre zone di guerra degli ultimi decenni, o anche secoli ormai. Le mine “non muoiono mai”, come affermano gli esperti del settore.

Si tenta di proibire le mine antiuomo dal 1980, e 65 Paesi dell’Onu avevano allora firmato la convenzione apposita, che di fatto non è mai stata applicata, anche perché si riferiva a conflitti internazionali, mentre la maggior parte dei terreni minati riguarda i conflitti interni, come viene definito quello delle regioni ucraine occupate o ancora libere dall’orco russo. Nel 1995 la convenzione fu ampliata e definita nei dettagli, cominciando ad ottenere qualche effetto fino al processo di Ottawa del 1996, che decise la totale proibizione, quella da cui oggi si è sganciata l’Ucraina per difendersi dalla Russia. Il movimento che portò all’accordo canadese ottenne perfino il premio Nobel per la pace, che ora si contendono Putin e Trump a suon di missili.

Entro il 2017, circa 100 dei 150 Paesi firmatari si erano impegnati a distruggere le proprie riserve di mine, e 27 di esse dimostrarono di essere completamente liberi dalle bombe di terra. Rifiutarono di firmare la convenzione la Cina, la Russia, gli Stati Uniti, l’India, il Pakistan e i Paesi del Medio Oriente, in un’oscura profezia di quanto si è realizzato un trentennio più tardi. L’Ucraina aveva firmato nel 2005, dopo la “rivoluzione arancione” che l’aveva staccata per la prima volta dalla dipendenza da Mosca, e aveva anche distrutto le sue mine, che sono tornate a proliferare dall’invasione del 2022, sia da parte ucraina, sia da quella russa. A fine 2024, in conclusione del mandato di Joe Biden, gli Usa hanno permesso agli ucraini di sistemare le mine antiuomo; il ministero degli esteri di Kiev si è giustificato spiegando che la Russia, non aderendo alla convenzione di Ottawa, aveva cominciato a spargere le mine sul territorio fin dal 2014, creando una “superiorità asimmetrica a favore dell’aggressore”. Alla fine il presidente Volodymyr Zelenskyj ha firmato ufficialmente l’uscita dall’accordo, per non “rimanere succubi del cinismo estremo della Russia”.

Un deputato della Verkhovnaja Rada di Kiev, il colonnello Roman Kostenko, segretario della commissione parlamentare per la sicurezza, la difesa e l’intelligence, ha spiegato che “l’uscita dalla convenzione era una decisione inevitabile già da tempo, noi conosciamo il nostro vicino… nella regione di Zaporižja i russi hanno minato tutto il territorio davanti alle zone occupate”. Anche la Polonia, la Finlandia e i Baltici hanno preso le distanze dagli accordi sulle mine, visto quello che succedeva ai loro confini, e l’importante è “fare tutto con ordine, in modo da segnalare con esattezza i campi minati sulle carte geografiche, dopo faremo gli sminamenti, una volta finita la guerra”, afferma Kostenko. In effetti, quest’anno hanno dichiarato l’intenzione di uscire dalla convenzione di Ottawa anche l’Estonia, la Lettonia, la Lituania e la Polonia, e a giugno il parlamento finlandese si è espresso a sua volta in questo senso; solo la Norvegia per ora non sembra avere intenzione di rimettere le mine sul territorio. La convenzione peraltro prevede che l’uscita dall’accordo non si possa applicare fino alla fine degli scontri in corso, ma gli ucraini intendono presentare le eccezioni relative alle “condizioni estreme”.

Mentre si dispongono le mine per formare l’abisso invalicabile con la Russia, la nuova “cortina di ferro” esplosiva che segnerà il destino dei popoli nei tempi a venire, a Roma si è tenuto il Sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina, un evento storico che per la prima volta si è aperto con una celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo maggiore di Kiev, Svjatoslav Ševčuk, insieme al santo padre, il papa Leone XIV. Il tema su cui hanno deciso di lavorare i vescovi ucraini è la “Pastorale della famiglia in tempo di guerra”, con un’attenzione particolare alle ferite spirituali, alle famiglie divise e al ruolo della Chiesa come rifugio e fonte di speranza. Al Pontificio collegio di San Giosafat, accanto al Vaticano, si sono riuniti oltre 50 vescovi provenienti da tutto il mondo, per decidere come procedere con lo “sminamento spirituale” dell’Ucraina. Come ha affermato Ševčuk, “vogliamo parlare a Roma, al Vaticano e al mondo del nostro dolore, delle nostre sofferenze, ma anche dell’eroismo del nostro popolo, del nostro spirito incrollabile, della nostra forza, vogliamo che il mondo ci ascolti e ci sostenga”.

Papa Leone ha osservato che “nell’attuale contesto storico non è facile parlare di speranza a voi e al popolo affidato alla vostra cura pastorale, non è facile trovare parole di consolazione per le famiglie che hanno perso i propri cari in questa guerra insensata”, ma le tante testimonianze di fede e di speranza da parte di uomini e donne ucraine sono “un segno della forza di Dio che si manifesta in mezzo alle macerie della distruzione”, offrendo nuovamente l’aiuto della Santa Sede per dare un senso alle trattative di pace, come il pontefice ha ripetuto anche ricevendo il presidente della Polonia, Andrzej Duda. Bisogna raggiungere una convenzione per estirpare le mine dai cuori degli uomini, per non perdere la speranza nel futuro, con l’aiuto di Dio.

 

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