31/07/2009, 00.00
CINA
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In Cina ci sono 13 milioni di aborti ogni anno (senza contare quelli per il figlio unico)

E’ il dato ufficiale degli ospedali, ma molti altri sono praticati nelle cliniche private. Lo praticano soprattutto giovani donne nubili, come vero metodo contraccettivo. Intanto si discute se rivedere la politica del figlio-unico. Un libro-denuncia di Harry Wu sulle conseguenze nefaste di questa politica.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – In Cina ci sono circa 13 milioni di aborti l’anno, secondo i dati ufficiali degli ospedali. Wu Sangchun, funzionario della Commissione statale per la popolazione nazionale e la pianificazione familiare (Cspf), osserva che almeno la metà degli interventi hanno una finalità “contraccettiva”, anche considerato che sono chiesti da giovani donne non sposate.

Il China Daily osserva che il numero reale degli aborti è molto maggiore, poiché il dato non comprende i molti interventi non registrati operati in cliniche private.

Il 62% delle donne che abortiscono non sono sposate e hanno età tra 20 e 29 anni. Il dato si riferisce tuttavia a un periodo di parecchi anni, mentre mancano dati specifici divisi per anno, per valutare l’evoluzione del fenomeno.

Gli esperti concordano, comunque, che occorra maggiore informazione sui metodi contraccettivi, anche considerato il progressivo aumento dei rapporti sessuali completi al di fuori e prima del matrimonio, conseguenti alla liberalizzazione dei costumi.

Il China Daily non si pone però alcuna domanda sugli aborti forzati per attuare un controllo violento sulla popolazione.

Per anni l’aborto è stato imposto dalle autorità per rispettare la politica del figlio-unico, in vigore dalla fine degli anni ’70, che consente alle coppie di avere un solo figlio. Il governo ritiene che questa politica abbia impedito almeno 400 milioni di nascite.

Ora c’è una iniziale volontà di riconsiderare il problema, anche viste le conseguenze negative di questa politica (invecchiamento della popolazione, mancanza di forza lavoro, problemi legati all’essere figlio unico) da tempo annunciate e che ora si stanno realizzando. Nei giorni scorsi Xie Lingli, direttore a Shanghai della Cspf, ha discusso sul China Daily la possibilità per le coppie cittadine di avere un secondo figlio. L’idea ha suscitato subito ampio dibattito mediatico ed è stata accolta con favore da molti. Esperti hanno osservato che la Cina rischia di avere un problema demografico, se non attenua il rigore di questa politica.

Harry Wu, attivista per la tutela dei diritti da anni emigrato negli Usa, noto per le sue denunce contro il sistema dei laogai (rieducazione-tramite-lavoro), in un suo libro appena uscito in Italia tratta in modo approfondito le gravi conseguenze, umane e sociali, che questa politica ha per la società e la popolazione cinese.

Il libro (“Strage di innocenti. La politica del figlio unico in Cina”, ed. Guerini) indica dati, fatti, nomi di quello che è stato un vero sconvolgimento della società tradizionale, fondata sulle famiglie numerose e la solidarietà nella famiglia anche allargata. Alcuni dati, da soli, mostrano la ferocia del sistema. La Cspf ha circa 520mila impiegati a tempo pieno e si avvale della collaborazione di oltre 83 milioni di impiegati part time, per un controllo davvero capillare del territorio. Il controllo della Cspf arriva a decidere, sulla base di dati burocratici, quanti bambini possono nascere ogni anno in ogni zona e lo comunica alle sezioni locali. I funzionari locali selezionano le famiglie cui concedere nell’anno i permessi di nascita. Nei momenti di massimo rigore, le donne rimaste incinta senza tale permesso sono state forzate ad abortire, ovvero sottoposte a detenzione e confisca di beni per convincerle. Il libro indica che negli anni ’80-’90 sono state lanciate campagne di sterilizzazione per chi aveva già avuto la quota di figli consentita, con decine di milioni di donne sterilizzate ogni anno. Oltre a molti dati, il saggio riporta analisi, testimonianze, racconti di casi concreti. In appendice ci sono le fonti normative che hanno fondato e fondano questa politica.

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