In tribunale per un opinione: la repressione dei giornalisti a Tbilisi
Non solo gli articoli ma anche i post sui social network sempre più spesso nel mirino della legge che punisce gli "oltraggi ai funzionari dello Stato", approvata dal Parlamento dominato dal Sogno Georgiano. Secondo molti commentatori potrebbe essere la premessa alla totale chiusura di Facebook nel Paese.
Tbilisi (AsiaNews) - I giornalisti della Georgia vengono sempre più spesso chiamati in tribunale, insieme a politici e attivisti umanitari, per rispondere delle critiche pubblicate non soltanto negli articoli, ma anche per dei semplici post sui social network. Questo avviene in conseguenza della nuova legge che punisce gli “oltraggi ai funzionari dello Stato”, approvata dal parlamento del Sogno Georgiano, i cui esponenti affermano che si tratta solo di “rispettare la disciplina”, mentre appare evidente che si tratta di una misura determinata a reprimere ogni opinione difforme da quelle del regime al potere.
L’attuale ministra della cultura Teja Tsulukiani, quando era ministra della giustizia nel 2019, ironizzava affermando che “se pongono limitazioni di legge alle parolacce, ci tocca finire tutti in prigione”; ora sembra arrivato proprio quel momento, almeno per quanto riguarda gli oppositori “indisciplinati”. Ella stessa ha promosso in questi giorni diverse cause contro gli autori di pubblicazioni da lei ritenute inaccettabili, per i toni e i termini usati, anche solo per averla definita “una russa”. La nuova legge prevede anche 45 giorni di detenzione per una parola sbagliata, ancora più severa di leggi analoghe della Bielorussia (massimo 30 giorni) e della Russia (15 giorni).
Qualche giorno fa il partito del Sogno Georgiano, in base alle nuove norme, ha intentato una causa collettiva agli autori delle pubblicazioni su internet, e il tribunale di Tbilisi ha convocato circa 20 giornalisti e attivisti per quanto a loro associato su Facebook. Tra di essi c’è la giornalista Nanuka Žoržoliani, insieme alla figlia Mariam Geguadze, i giornalisti Ekaterina Mišveladze, Vakho Sanaja, Vika Bukija e i politici Tamar Čergoleišvili, Levan Khabeišvili, Elena Khoštarija, con gli attivisti Anna Subeliani, Baija Pataraja, David Katsarava e altri. A fine maggio tre attivisti erano stati condannati per aver gridato “Abbasso gli schiavi della Russia!” all’indirizzo della deputata Mariam Laškhi, e il termine “schiavo” è stato definito un “gravissimo oltraggio” da segnalare su tutti i post e messaggi social.
Altri termini ritenuti passibili di condanna sono i “traditori della patria”, “bolscevichi” e “russi” indirizzati a funzionari statali e politici di governo e maggioranza. Il presidente del parlamento, Šalva Papuašvili, ha dichiarato che l’uso del termine “schiavo” da parte delle “opposizioni radicali” non è affatto casuale, ma una “proiezione della loro stessa essenza, in quanto sono degli schiavi ideologici dell’Occidente”. Dopo gli arresti qualcuno ha dipinto la parola “schiava” sulla parete di Mariam Laškhi, e la giornalista Ekaterina Mišveladze ha fatto un repost, scrivendo “alla schiava hanno scritto che è schiava, e io non mi oppongo”, motivo per cui lei stessa è stata arrestata.
I giornalisti replicano a questa ondata di repressioni affermando che “evidentemente hanno dei sensori emozionali molto delicati”, come ha affermato la Žoržoliani, e invitano tutti a recarsi in tribunale, “per vedere come è fatta una dittatura”. Un’altra giornalista, Dea Mamuseišvili, ha offeso il capo del gruppo parlamentare del Sogno Georgiano, Mamuka Mdinaradze, chiamandolo “bastardo, mascalzone e mostro”, e in tribunale ha assicurato che “lo penso davvero, anzi in realtà userei parole ben peggiori”.
Uno degli scopi delle repressioni, secondo molti commentatori, potrebbe essere quello di arrivare alla totale chiusura di Facebook in Georgia, limitando anche tutti gli altri social network, ritenuti “strumenti di una campagna d’odio finanziata dall’estero”. Il primo ministro Iraklij Kobakhidze ha sostenuto queste misure, affermando che “nella società georgiana non ci deve essere posto per l’odio, e noi abbiamo il diritto di legge di contrastare duramente questa deriva”. Non a caso, Facebook è stato dichiarato in Russia “organizzazione estremistica” fin dal 2022, e la Georgia si accoda anche in questo al potente vicino.
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