29/12/2020, 10.24
MOLDAVIA-RUSSIA
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Inaugurata la presidenza di Maja Sandu, speranza per i moldavi e gli ex sovietici

di Vladimir Rozanskij

La sua vittoria segna una svolta nella coscienza civile della società moldava. Dodon, il presidente uscente, rappresenta un sistema poco trasparente e corrotto, in cui tutti si coprono a vicenda. La vittoria della Sandu è attribuita agli “uomini nuovi”, gli esponenti della classe media urbana, estranea al sistema di corruzione dell’ultimo decennio, una generazione di giovani energici sensibili alla reputazione del proprio Paese, e ai lavoratori migranti.

Mosca (AsiaNews) Il 24 dicembre scorso, vigilia di Natale, è stata inaugurata la presidenza del nuovo capo di Stato della Moldavia, la neo-eletta Maja Sandu (foto 1). Con la sua vittoria contro il presidente uscente Igor Dodon (foto 2), la Sandu alimenta le speranze non solo della maggioranza dei moldavi, ma anche di tanti ex-sudditi dei Paesi dell’impero sovietico. La sua vittoria, inaspettata per le proporzioni con il 58% dei voti, non è stata solo la vittoria dei “filo-europei” contro i “filo-russi”, o una rivolta “anti-putinista” simile alle recenti rivoluzioni di Ucraina, Bielorussia, Armenia e Kyrgyzstan, definite “incendi ai bordi della Russia”. Quella vittoria è stata una vera svolta nella coscienza civile della società moldava e l’inizio di un cambiamento che promette di essere assai profondo.

Il vero spartiacque nella politica moldava non sta infatti nell’orientamento tra Mosca da una parte, e Bruxelles o Bucarest dall’altra, e nemmeno nello sguardo tra il passato e il futuro. La vera questione è piuttosto tra due tipi diversi di politica, tra il “Dodon collettivo” e la “Sandu individuale”.

Dodon rappresentava, e continua a rappresentare, un sistema poco trasparente e appiccicoso, una diffusa corruzione in cui tutti sono legati gli uni agli altri (o perlomeno non sono estranei), tutti si coprono a vicenda e comandano in realtà soltanto i soldi. Gli oligarchi degli anni passati, come il più invadente di tutti, Vlad Plakhotnjuk (foto 3), ex-presidente del Partito Democratico della Moldavia, insistevano sull’orientamento di Dodon verso il Cremlino, per spaventare Bruxelles con la “minaccia russa”.

La classe dirigente del Paese è stata spesso simile a un clan mafioso, a un gruppo d’interesse dove ci si spartisce la torta con i parenti più stretti, coinvolgendo anche i “parenti” della Transnistria e di Odessa, nell’Ucraina meridionale. Un esempio di questo comportamento è stata la dimissione del governo di Ion Kiku alla vigilia dell’insediamento della Sandu, il 23 dicembre, risultato di un intrigo organizzato dallo stesso Dodon con Ilan Shor (foto 4), politico a capo di un partito personale, imprenditore e segretario del Consiglio di salvataggio della Banca di Moldavia, un altro personaggio piuttosto oscuro, che si è sottratto ai giudici scappando all’estero senza rinunciare a guidare il suo gruppo di parlamentari. La Sandu è ora costretta a formare in fretta un nuovo governo, per evitare nuove elezioni parlamentari anticipate.

Gli avversari della Sandu sono ancora invischiati nello storico caso Landromat, la cosiddetta “lavanderia russa”, un sistema di riciclaggio di denaro (oltre 30 miliardi di dollari) tra Russia, Moldavia e Paesi baltici su cui la magistratura locale indaga dal 2014. A tale scandalo sono legati in vario modo sia Plakhotnjuk che lo stesso Dodon, considerato un burattino di Mosca, emerso dall’anonimato e sistemato sulla scena proprio per coprire le tracce dello scandalo. Il destino delle ultime elezioni viene quindi attribuito agli “uomini nuovi”, gli esponenti della classe media urbana estranea al sistema di corruzione dell’ultimo decennio, una generazione di giovani energici sensibili alla reputazione del proprio Paese, e ai lavoratori migranti, ancora più interessati al futuro del Paese, che hanno votato per la Sandu per oltre il 90%.

Il sistema di Dodon e compari non è comunque pronto a lasciare il campo, e in vista delle possibili nuove elezioni è passato al contrattacco. Il parlamento, su cui l’ex-presidente riesce a esercitare ancora un forte controllo, ha preso negli ultimi giorni una serie di misure populiste: il passaggio del controllo sui servizi segreti dal presidente al parlamento; lo status della lingua russa come “lingua di comunicazione tra le nazioni”; la trasmissione dei canali televisivi russi; l’abbassamento dell’età pensionistica. In tal modo, Dodon confida di vincere le elezioni parlamentari e sedersi sulla poltrona di primo ministro, con l’appoggio esplicito di Mosca, di cui Dodon non sembra vergognarsi nonostante le numerose critiche. Ma anche in Russia molti sembrano essere ormai poco entusiasti nel sostenere l’impresentabile ex-presidente. Se non ci fosse di mezzo la delicata situazione della Transnistria, presidiata dai soldati russi, il Cremlino potrebbe più facilmente trovare un accordo con la nuova presidente.

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