22/03/2016, 12.22
INDONESIA
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Indonesia, 19mila “pazzi” tenuti in catene. L’opera generosa di chi invece li accoglie

di Mathias Hariyadi

Nel Pese chi soffre di disturbi psichici è considerato “indemoniato” e un pericolo per gli altri. Povertà e ignoranza provocano i trattamenti terribili cui sono sottoposti i “pazzi”, legati con catene di ferro o abbandonati dalle famiglie. Il corrispondente di AsiaNews in Indonesia ha incontrato Angelique Dolly, donna cattolica che ha fondato la “Casa degli angeli”, luogo dove i malati vengono accolti e curati.

Jakarta (AsiaNews) – Circa 19mila persone “malate mentali” tenute in catene o obbligate in spazi chiusi a causa della loro condizione. Sono i numeri preoccupanti pubblicati dall’Osservatorio per diritti umani, che punta il dito sui trattamenti terribili cui sono sottoposte le persone con problemi mentali in Indonesia, considerate “indemoniate” e un pericolo per la società. Secondo le stime del ministero della Salute, sono 14 milioni le persone con disturbi psichiatrici, ma sono solo 48 cliniche le specializzate in tutto il Paese. Pubblichiamo l’articolo di Mathias Hariyadi, corrispondente di AsiaNews in Indonesia, che ha incontrato Angelique Dolly, donna cattolica che accoglie e cura i malati abbandonati dalle proprie famiglie.

Negli anni ’70 le persone mostravano reazioni negative di fronte ai malati mentali. Per prima cosa li prendevano in giro. Poi cercavano di tenersi a distanza da loro, gli sputavano addosso e li apostrofavano con parole offensive. Inoltre, alcuni lanciavano anche piccole pietre addosso a queste persone sfortunate, chiamandoli “pazzi”, parola che faceva aumentare il distacco sociale e psicologico dalla “gente normale”. I malati mentali erano considerati pericolosi, in grado di mettere in pericolo le altre persone e fare loro del male.

Quando ero ragazzo, nella mia città natale Klaten, nel Java Centrale, le persone malate di mente venivano portate nella clinica di Danguran, nel distretto di Wedi. In questo luogo i pazienti venivano rinchiusi in celle con sbarre di ferro, o addirittura legati con catene o altro. Nelle aree rurali, dove la povertà è diffusissima, la situazione era ancora peggiore. Tutti i malati mentali venivano incatenati, affinché non disturbassero o facessero del male agli altri. Questa pratica è ancora diffusa nelle aree campestri, anche se il numero degli episodi è calato. Il Paese ha fatto passi in avanti nel rispetto dei diritti umani, e la gente inizia ad avere un atteggiamento più tollerante.

Ho avuto la fortuna di incontrare una persone che ha una posizione diversa nei confronti dei malati mentali. Dorothea Angelique Dolly Pudjowati è una donna cattolica che ha ideato la “Casa degli angeli”, fondazione speciale per la cura delle persone malate e abbandonate. Quando l’ho incontrata, Angelique mi ha detto che la pratica dell’incatenamento dei “pazzi” avviene a causa di tre fattori. Il primo è che nelle aree rurali le persone non hanno altra scelta che tenere queste persone in un luogo sicuro. Secondo, la maggior parte degli indonesiani non ha idea di cosa fare in queste situazioni e a chi chiedere aiuto, non avendo abbastanza denaro per portare i malati in ospedale. Non sanno nulla di cosa sia una malattia mentale. Per terzo, la riposta pubblica a queste persone è in genere negativa, in quanto si pensa che siano “abitati” da spiriti cattivi.

Dolly non ha completato gli studi di medicina, ma ha fondato la “Casa degli angeli” nel 2008 nel distretto di Bekasi, 30 km a est di Jakarta, dove accoglie i malati mentali vittime dello stigma sociale. Nella Casa, afferma la donna “tutti i pazienti sono trattati senza preferenza rispetto alla loro appartenenza culturale, etnica e religiosa”.

Dolly mi ha raccontato la storia di Tigor, malato mentale “scoperto” mentre viveva sotto un camion, in completo abbandono, sporco e incapace di comunicare. Dopo lunghe trattative con l’ospedale di Bekasi (West Java), Dolly è riuscita a farlo ricoverare lì, e dopo un po’ Tigor è stato in grado di ricordare il suo nome e quello dei suoi familiari. Dopo sei anni di abbandono, considerato oramai una “persona persa”, Tigor si è riunito alla sua famiglia.

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