07/09/2012, 00.00
CINA
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Investire in Cina? Non conviene più (tanto)

Secondo il Rapporto sulla competitività globale presentato a Davos nel corso del Forum economico, dopo 7 anni di crescita l’Impero di Mezzo perde colpi e scivola al 29esimo posto. Colpa della politica, che impedisce vere riforme del lavoro e limita il mercato interno. Hong Kong fra i primi 10 al mondo.

Pechino (AsiaNews) - Gli investimenti stranieri in Cina rischiano di subire un duro colpo, dopo che il Rapporto sulla competitività globale presentato ieri nel prestigioso Forum economico di Davos ha sottolineato che l'Impero di Mezzo, dopo 7 anni di avanzamenti continui, è scivolato al 29esimo posto della classifica mondiale. Secondo gli analisti che hanno stilato il testo, la colpa è del regime comunista che impedisce vere riforme del mercato del lavoro e blocca il mercato interno per non perdere la presa sulla popolazione.

Per il quarto anno consecutivo la Svizzera è al primo posto, seguita da Singapore. Hong Kong e Giappone sono invece presenti nella lista dei primi 10: l'ex colonia britannica, che quest'anno è divenuto il posto più caro al mondo per comprare casa, si salva grazie al mercato finanziario. Anche gli Stati Uniti hanno perso terreno, passando dal quinto al settimo posto, mentre dal terzo al sesto ci sono Finlandia, Svezia, Olanda e Germania.

Sulla Cina pesano il rallentamento dell'economia e le resistenze a maggiori aperture verso l'economia di mercato, ma anche le mosse con cui il regime cerca di bloccare l'inflazione e lo scoppio di diverse piccole bolle immobiliari che hanno reso vani ingenti investimenti stranieri. Pesa anche il cambio di leadership previsto per il Congresso comunista di ottobre: 2 investitori su 5 dicono di "non credere" nelle politiche economiche cinesi fino a quel periodo.

Secondo la Camera di Commercio dell'Unione Europea, inoltre, nel Paese si registra un "deterioramento" delle condizioni di investimento. L'organismo chiede a Pechino di "aprire di più il mercato delle infrastrutture anche ai privati stranieri" e di "abolire le ingiuste condizioni di lavoro cui sono sottoposti gli operai".

I dati confermano il pessimismo. Il settore servizi in Cina ha rallentato la sua crescita in agosto, toccando un minimo da un anno, anche se le aziende stanno assumendo più lavoratori a stipendi più alti. L'indice Pmi di Hsbc è sceso il mese scorso a 52,0 da 53,1 di luglio, pur rimanendo sopra la soglia di 50 punti che separa crescita da contrazione. Anche il sottoindice sulle nuove attività è sceso a un minimo da agosto 2011, pesando sul dato complessivo. L'indice sull'occupazione è salito a 52,7, massimo da novembre, mentre i prezzi input sono su un massimo da maggio. Il settore servizi conta per circa il 43% del Pil della Cina.

Per cercare di frenare questi smottamenti, il governo cinese ha approvato un piano infrastrutturale da 158 miliardi di dollari. Secondo il China Securities Journal, che definisce "prudenziale" la stima di spesa, il governo cinese "ha la necessità di aprire più canali di finanziamento per le infrastrutture, anche attraverso l'ammorbidimento dei criteri di controllo sul credito bancario".

 

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