Iraq, card. Sako: cristiani alle urne per preservare stabilità e pluralismo
Il patriarca caldeo lancia un appello a meno di un mese dalle elezioni politiche, con l’invito a scegliere candidati “adatti a servire il popolo senza discriminazioni”. Il tema della lotta alla corruzione e la faida di potere fra gruppi. La scelta dei candidati cristiani e il rischio di infiltrazioni. La questione irrisolta della partecipazione politica delle minoranze irachene dopo il 2003.
Milano (AsiaNews) - “Ad un solo mese dalle elezioni parlamentari, mi sento in dovere di cogliere questa opportunità per estendere un invito a tutti gli iracheni, e ai cristiani in particolare, a partecipare in massa” recandosi alle urne e votando candidati “che sono più adatti a servire il popolo senza discriminazioni”. È quanto scrive il primate di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, in un messaggio pubblicato sul sito del patriarcato e inviato ad AsiaNews a meno di un mese da una tornata elettorale fondamentale per delineare il futuro della nazione. A maggior ragione oggi in cui l’intera regione sembra essere attraversata da tensioni e cambiamenti, scontri fra interessi opposti e tentativi di mediazione a partire dal piano di pace su Gaza siglato ieri sotto l’egida statunitense per un nuovo Medio oriente. “Devono votare - prosegue il porporato - per persone capaci, note per la loro integrità e onestà, che rispettano pluralismo e diversità di religioni ed etnie che caratterizzano l’Iraq e che credono nella sovranità, nel progresso e nella stabilità”.
Frammentazione e disillusione
Il panorama elettorale dell’Iraq, nazione che il prossimo 11 novembre sarà chiamata alle urne per le seste elezioni parlamentari dalla caduta di Saddam Hussein, è caratterizzato da un misto di frammentazione politica, disillusione dell’opinione pubblica e alleanze politiche mutevoli. Come ha evidenziato il patriarca caldeo non mancano problemi di integrità e competenze fra gli stessi candidati, in un Paese in cui troppe volte corruzione e malaffare hanno prevalso nella vita pubblica a discapito dei cittadini, in primis delle minoranze etnico-religiose.
Il primo ministro Mohammed Shia Al-Sudani, che cerca di ottenere un secondo mandato grazie ad un elevato consenso popolare, deve affrontare l’opposizione dei leader politici sciiti rivali e un sistema politico progettato per impedire il consolidamento del potere. A quasi un anno dal voto amministrativo nel nord a maggioranza curda, il Partito democratico del Kurdistan e l’Unione Patriottica del Kurdistan si presentano alla nuova scadenza senza aver formato un governo, mentre i leader politici sunniti rimangono divisi. In questo quadro conflittuale, molti iracheni sceglieranno di non partecipare mettendo in dubbio l’importanza stessa delle elezioni e il peso decisionale dell’elettorato in un Paese permeato da forte instabilità.
Inoltre, la campagna elettorale ha rafforzato la consueta divisione tra due principali gruppi: quelli che lottano per il potere o cercano di conservarlo e quanti nutrono vaghe e irrealistiche speranze di cambiamento o che partecipano semplicemente come elementi decorativi. Questa divisione non è solo politica, ma anche finanziaria. Da un lato candidati poveri che conducono campagne modeste e sobrie, cercando di attirare gli elettori attraverso idee e programmi; dall’altro contendenti ricchi che orchestrano iniziative sontuose, facendo leva su clamore, battage mediatico e spettacolo visivo. Di questi ultimi, la maggior parte proveniente da forze politiche che hanno governato l’Iraq negli ultimi due decenni con questioni irrisolte sia legali che morali. Personaggi come l’ex primo ministro Nouri al-Maliki, il leader della milizia Badr Hadi al-Amiri e il comandante di Asa’ib Ahl al-Haq Qais al-Khazali hanno tutti mostrato di disporre di ingenti risorse finanziarie e influenze interne allo Stato. In questo modo, le elezioni rischiano di trasformarsi da un processo democratico positivo in un ciclo negativo che perpetua la corruzione, riportando al potere le stesse figure.
Cristiani e rappresentanza
In questo quadro di incertezze e criticità si inserisce l’intervento del patriarca Sako, già più volte in passato in prima fila nella lotta contro la corruzione o il tentativo di gruppi e milizie armate di arrogarsi la pretesa di rappresentare gli “interessi” dei cristiani. “La Chiesa caldea - sottolinea il porporato - rifiuta che i cristiani siano rappresentati da individui la cui corruzione è stata denunciata e acclamata o da gruppi armati che controllano le loro risorse e dominano le loro città nella piana di Ninive. Non accetteremo che la componente cristiana diventi carburante per questi attori stranieri” con un riferimento, fra gli altri, alle milizie sciite e a movimenti - molti dei quali legati a Teheran - che sfruttano la componente cristiana per una mera questione di potere. Esempio ne è lo scontro durissimo in atto da anni fra lo stesso patriarca e il sedicente leader cristiano “Rayan il caldeo”, alla guida delle famigerate Brigate Babilonia filo-iraniane.
“Avevamo ufficialmente chiesto ad alcuni organi governativi competenti, come la Commissione Elettorale, di limitare il voto alla componente cristiana - prosegue la nota del porporato - come soluzione legale che ne garantisse la rappresentanza”. “I partiti caldeo, assiro e siriaco - avverte - hanno fatto lo stesso, ma nessuno ci ha ascoltato. Purtroppo, per oltre 15 anni, il governo iracheno non è riuscito a tutelare i diritti delle minoranze, ad adottare misure vincolanti per garantirne l’equità e a preservarne la rappresentanza e il ruolo”. “I cristiani non si arrenderanno nonostante le ferite e si impegneranno con determinazione per realizzare questo diritto costituzionale che garantisce il loro futuro e consolida la loro sopravvivenza. La Chiesa caldea - conclude il card. Sako - non si svenderà, non si arrenderà all’ingiustizia e la sua lealtà verso l’Iraq e il suo amore per gli iracheni rimarranno intatti”.
Esclusioni pretestuose
La questione della rappresentatività e della libertà di partecipazione non è certo un elemento secondario per la vita delle minoranze e una loro partecipazione nell’agone politico e istituzionale del Paese. Prova ne è la recente mossa, definita senza precedenti da analisti ed esperti, della Commissione elettorale indipendente (Ihec) di escludere candidati caldei e assiri per motivazioni “pretestuose”. Un esempio su tutti è la bocciatura di Issam Behnam Matti, il candidato caldeo-siriaco-assiro in rappresentanza della quota cristiana nella provincia di Ninive. Matti Yakub, sindaco del distretto di Hamdaniya fino all’inizio di quest’anno quando è stato sostituito da un candidato affiliato a Rayan il Caldeo, è stato escluso per presunta violazione dell’art. 7 (quinto) della legge elettorale modificata n. 12 del 2018 del Consiglio dei rappresentanti iracheno.
Nonostante il ricorso formale contro questa ed altre esclusioni eccellenti sempre in base alla stessa norma, la Commissione ha confermato le sue decisioni. Una scelta che ha contribuito ad alimentare le preoccupazioni sulla trasparenza dell’applicazione della legge, in particolare per quanto riguarda gli standard comportamentali soggettivi o le violazioni procedurali. Studiosi e osservatori spiegano che tali sentenze rischiano di compromettere le possibilità delle minoranze di ottenere una rappresentanza parlamentare autentica in un’Assemblea di 329 seggi, di cui solo nove riservati alle minoranze (cinque i cristiani). La controversia va oltre i tecnicismi giuridici e solleva questioni più profonde sulla partecipazione politica delle minoranze irachene dopo il 2003 e sulla capacità del sistema elettorale di salvaguardare la diversità demografica e politica. Per le prossime elezioni, la Commissione ha approvato i seguenti rappresentanti cristiani, alcuni dei quali di origine caldea-siriaca-assira: Baidaa Khidhir Bahnam Yakub, Dureid Jameel Ishoh Simaan, Farouq Hanna Atto Shamoun, Hiba Jirjis Abdul-Ahad al-Qass e Aswan Salim Sadiq Sawa al-Kaldani.
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08/04/2025 10:53