15/03/2022, 13.09
INDIA
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Karnataka: Alta Corte conferma il divieto all'hijab. Studentesse: 'Andremo avanti'

di Nirmala Carvalho

I giudici hanno confermato l'ordinanza del governo del Bjp che vieta l'accesso nelle scuole alle ragazze musulmane che indossano il velo. Le associazioni islamiche gridano alla violazione delle libertà e invocano il ricorso alla Corte suprema. Mons. Menamparampil: "Quando qualcuno sente la sua identità minacciata fa di tutto per proteggerla. Si eliminino le minacce e i rapporti tra le comunità torneranno normali". 

Karnataka (AsiaNews) - L’Alta Corte dello Stato indiano del Karnataka ha respinto le petizioni contro il bando all’uso dell’hijab nelle scuole. Ma le studentesse musulmane della Government PU College for Girls di Udupi che avevano promosso il ricorso, hanno subito risposto che la protesta continua e che non si recheranno in aula senza il velo.
Sembra dunque destinata ad infiammare ulteriormente gli animi la sentenza con cui oggi l’Alta Corte ha confermato la misura decisa dal governo locale del Karnataka, uno degli Stati indiani governati dai nazionalisti indù del Bjp, il partito del premier Narendra Modi.

Da mesi in India questo scontro intorno all’hijab è diventato una bandiera sul tema dei rapporti con la minoranza musulmana. Nella loro sentenza i giudici hanno scritto: “Siamo dell'opinione che indossare l'hijab non rientra tra le pratiche essenziali dell'islam per le donne musulmane”. Aggiungono che il governo del Karnataka ha il potere di imporre agli studenti un uniforme e indossarla “è una restrizione ragionevole dei diritti fondamentali alla quale gli studenti non possono opporsi”. Per questo – concludono – non c’è ragione di annullare l’ordinanza del governo locale che contiene il divieto.

Il verdetto è stato accolto con favore dal Bjp, ma viene contestato da politici e istituzioni musulmane in tutta l’India. Asaduddin Owaisi - membro del parlamento indiano e presidente dell’ All India Majlis-e-Ittehadul Muslimeen - esprimendo la sua contrarietà al bando ha auspicato che “i firmatari facciano appello davanti alla Corte Suprema” e che ottengano il sostegno “anche di altri gruppi religiosi”. “Il preambolo della Costituzione indiana - commenta - afferma la libertà di pensiero, di espressione, di fede. Spero che questa sentenza non venga usata per legittimare le molestie alle donne che indossano l'hijab in India. Potrebbe iniziare a succedere a chi indossa il velo nelle banche, negli ospedali, nei trasporti pubblici”.

Questo clima così polarizzato intorno a un simbolo identitario preoccupa anche le comunità cristiane in India. Sulla vicenda l’arcivescovo emerito di Guwahati, mons. Thomas Menamparampil, commenta ad AsiaNews: “Quando l'identità o l'onore di qualcuno è minacciato, si fa di tutto per proteggerlo. In un dato momento questa identità può essere simboleggiata da un abito o da un cibo, in un altro momento da una lingua o da una norma culturale. Quanto più grave è la minaccia all'identità o al rispetto di una comunità, tanto più ferocemente i suoi membri la difenderanno. In un altro momento possono attribuire molta meno importanza a quel simbolo”. “Le esagerazioni riguardanti l'hijab - ricorda mons. Menamparampil - sono venute alla ribalta oggi, perché la comunità religiosa a cui appartiene si sente minacciata, emarginata e non rispettata. Eliminate le minacce, evitate le esagerazioni e la normalità tornerà”.

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