Katmandu, il 'giorno dopo' della rivoluzione della GenZ
Viaggio tra le attese dei giovani che in nome della lotta alla corruzione hanno portato all’uscita di scena del governo di Sharma Oli. Sr. Durga Shrestha (Caritas Nepal): “Le profonde diseguaglianze alla radice delle proteste, ora la sfida è generare veri cambiamenti”. Il gesuita p. Ekka: “Il sistema scolastico sia una delle priorità”.
Katmandu (AsiaNews) - A poche settimane da quella che già chiamano la “storica rivoluzione” del 10 settembre, le vie di Katmandu sembrano tornate al consueto caos calmo della vita quotidiana. E il Nepal, Paese di 30 milioni di abitanti grande la metà dell’Italia, pare il consueto viavai incastonato tra India e Cina di etnie buddhiste e induiste, alle pendici del “tetto del mondo” costituito dall’Himalaya, dove molti aspetti della vita quotidiana sono suggestive fotografie di sussistenza rurale. Dopo i 3-4 giorni che hanno incendiato il Paese (letteralmente, con la messa a fuoco del Parlamento e delle abitazioni private di diversi membri del governo), i protagonisti della rivolta – la cosiddetta GenZ nepalese – si sono trovati in strada due settimane dopo per una giornata di pulizie civiche, e il mantra diffuso con urgenza, rivolto a turisti ed escursionisti, è “non perdete la stagione, il Paese è sicuro, benvenuti e namaste!”
Muovendomi in parte nella capitale e in parte nella ben più isolata regione dell’Everest, cerco di sentire il “polso” del Paese attraverso le voci che riesco a incontrare: un giovane di 26 anni che fa la guida escursionistica, un giovane operatore di un centro di educazione ambientale, un professore universitario emerito di scienze naturali applicate, la suora direttrice di Caritas Nepal con il suo staff di laiche e laici, e il responsabile del Jesuit Social Institute.
Non troppo tempo fa avevo toccato con mano la realtà di un Paese con profonde disuguaglianze interne, visitando una zona di villaggi contadini a 5 ore di sterrati da Katmandu (Timàl), e un’area simile di diversa etnia molto più a ridosso delle nuove periferie della capitale che si allarga (Balthali). Zone quasi del tutto prive di servizi statali, isolate, ancora incatenate ad una sopravvivenza quotidiana e pure soggette a terremoti, alluvioni e siccità. Persino l’area escursionistica dell’Annapurna, nel nord ovest, presentava gravissimi fenomeni di erosione e inondazione delle uniche strade di collegamento tra i villaggi. E già allora si sentiva un vociare insofferente contro “un governo che lucra sui turisti ma non sviluppa i territori che li accolgono”.
La rivoluzione di settembre è effettivamente passata come una meteora, ma ha molto da dire anche a livello globale, e alcuni osservatori internazionali se ne sono accorti. In un Paese stretto tra le ingerenze dell’India e quelle - più sottili e pragmatiche – della Cina, democrazia giovane (c’era il re fino al 2008) con enormi problemi di corruzione della classe dirigente, due sono le novità di questi anni in Nepal: una prima generazione di giovani che studia all’università (la Tribhuvan University ha circa 400mila studenti) e l’arrivo dello smartphone e della connessione che consente - in un Paese senza strade - un livello di comunicazione, informazione e organizzazione di massa fino a pochi anni fa improponibile.
Se tutte le persone con cui ho parlato condividono che fosse evidente un malcontento diffuso verso la malagestione del Paese, nessuno si aspettava che la GenZ - proprio quella col naso incollato ai telefoni - desse un colpo di coda simile, esplodendo in una rivolta che in pochi giorni ha, nell’ordine: fatto scappare il governo in carica di Sharma Oli, trovato un accordo con i militari, individuato sui social una apprezzata premier di transizione (l’ex giudice della Corte supema Sushila Karki) e favorito la programmazione di nuove elezioni per un futuro del Paese che ora ha chiare alcune istanze non più rimandabili.
“In due giorni - spiega Laxman Lama, educatore ambientale nel Sagarmatha National Park - è successo qualcosa di inedito per il Nepal. I media internazionali hanno associato la protesta al divieto dei social media, ma l’obiettivo vero era la corruzione, il lusso insopportabile in cui vivono certi politici mentre la popolazione sopravvive in povertà”. Sr. Durga Cecilia Shrestha, prima donna a dirigere Caritas Nepal, l’ente che più collabora con il governo nelle emergenze climatiche e sociali del Paese, mi confida la soddisfazione di veder chiamata dai giovani una premier donna alla guida della transizione. “C'è una forte disuguaglianza nel sistema educativo e sanitario qui. Solo i ricchi, solo i politici e i loro figli (li chiamano ‘NepoKids’) hanno accesso a studi di qualità e all’estero. Questo ha fatto montare una rabbia diffusa nei giovani, ma penso che nemmeno i gruppi di manifestanti si aspettassero un risultato del genere. L’esercito ha avuto un ruolo importante, nel momento della confusione ha ucciso decine di giovani, poi però ha capito di doversi concentrare sulla fine delle violenze e degli incendi, e di dover ascoltare le proposte dei manifestanti. Non era facile tenere una linea mediana, il rischio era di aumentare i massacri o di lasciar mettere a fuoco tutta la capitale. Ora - conclude sr. Durga Cecilia Shrestha - bisognerà vedere se la GenZ sarà in grado di esprimere rappresentanza e alleanze per mettere davvero in pratica dei cambiamenti strutturali”.
Ram Prasad Chaudary, docente emerito al Centro di Ricerca per le Scienze Applicate e le Tecnologie, mi conferma che molti dei gruppi di manifestanti sono costituiti da studenti universitari. “Al di là della grande confusione causata, e dei molteplici interessi in gioco non sempre trasparenti, gli esiti sono stati incoraggianti - commenta -. Vogliamo tutti che qui non ci sia corruzione, che ci sia un buon governo, con le persone giuste al posto giusto. E la politica non dovrebbe compromettere il sistema educativo, distribuendo cariche in virtù delle appartenenze partitiche. L’insegnamento, la ricerca dovrebbero essere liberi di svolgersi senza interferenze. La GenZ chiede inoltre di poter accedere agli studi all’estero, per molte ragioni. Tra queste c’è la mancanza di merito e di sbocchi: anche chi mostra capacità straordinarie, non ottiene una buona posizione. E quando prova a farsi valere all’estero, deve fare giorni di code solo per sperare di avere i documenti necessari. La disuguaglianza nel Paese - lo vedo anche nelle regioni più remote, che giro per motivi di ricerca - sta arrivando a livelli insostenibili”.
“Il nostro ruolo è accompagnare proprio i giovani che studiano - fa eco p. David Ekka del Jesuit Social Institute - e in questo momento dobbiamo insistere sul fatto che bruciare i simboli dello Stato e della democrazia non è una strada proficua, mentre le istanze che portano avanti sono valide e vanno messe a sistema. In questi anni abbiamo investito proprio sulla formazione degli insegnanti e dei dirigenti scolastici nelle scuole pubbliche, così come sulla formazione socio-politica dei giovani, per far sì che cresca nel tempo una potenziale classe dirigente, una massa con un approccio critico, in grado di districarsi tra le fake news e le distrazioni di massa. C’è tantissimo lavoro da fare perché l’istruzione diventi inclusiva verso le categorie più fragili. Una grande riforma del sistema scolastico sarebbe davvero auspicabile”.
Mentre il mondo cattolico, minoranza attiva nel Paese, porta avanti un impegno concreto di prossimità e formazione con il rischio continuo di venire accusato di proselitismo, sul fronte giovanile Hami Nepal, la piattaforma animata dall’influencer imprenditore Sudan Gurung, rivendica un ruolo di primo piano nel cambiamento del Nepal e nell’incoraggiamento a mantenere pacifiche e lucide le proteste, animando progetti civici e lasciando forse intendere di poter rappresentare (in via diretta o indiretta) il sogno della GenZ nepalese alle elezioni di marzo 2026.
02/05/2017 12:42
24/11/2022 12:49
 
						
 
       
       
			 
			 
			 
			 
			



 
						 
						 
						 
						 
						