24/09/2022, 09.00
MONDO RUSSO
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L'ultima crociata della Russia

di Stefano Caprio

La “religione del fuoco” ha devastato e distrutto centinaia di chiese, e proprio Kirill ha annunciato anche il nuovo programma di restauro degli edifici crollati sotto le bombe da lui stesso auspicate, e sostenute con la preghiera.

Con la mobilitazione al servizio militare del 21 settembre, a sette mesi dall’invasione dell’Ucraina, la Russia ha abbandonato l’ipocrisia della “operazione militare speciale” per gettarsi nell’ultima e disperata campagna di guerra, dopo aver perso in poche settimane buona parte dei territori conquistati nei mesi precedenti. I referendum-farsa nelle parti controllate dai russi delle terre ucraine permetteranno di annunciare la “difesa del territorio nazionale” al posto della grottesca “denazificazione” delle provincie contese.

Sarebbe più adeguato chiamare tutta la vicenda bellica come una “crociata”, visto il carattere spirituale e “metafisico” attribuito a tutto l’impegno del regime di Putin e della Chiesa di Kirill per imporre il proprio dominio sulle terre sacre della Crimea, della regione del Don e delle coste del mar Nero, da cui arrivarono in Russia i missionari bizantini alla fine del primo millennio. Nel giorno della nuova chiamata alle armi, il patriarca di Mosca ha rivolto un nuovo appello per “ristabilire l’unità della Chiesa russa, e non considerare gli ucraini come dei nemici”, predicando dal monastero femminile della Sacra Concezione di Mosca.

Come ha ribadito Kirill, “oggi la nostra Patria, la Rus’ storica, sta attraversando le prove più dure... sappiamo come stanno soffrendo i nostri fratelli ucraini, mentre cercano di ‘riformattarli’ e aizzarli contro la Russia, ma nei nostri cuori non ci deve essere spazio per tali sentimenti, chiediamo al Signore che ci doni il coraggio necessario e rafforzi i sentimenti di fraternità, che sono la vera caparra della pace per le immense distese della Rus’”.

Il coraggio per rispondere alla mobilitazione, in realtà, sembra essere piuttosto carente tra i russi tra i 20 e i 50 anni che potrebbero essere chiamati nei prossimi giorni, fino a 300mila persone come pare sia stato deciso, o addirittura un milione, anche se le cifre esatte non sono state comunicate. Semmai si manifesta una certa audacia nel protestare in strada contro l'obbligo di guerra, che ha già provocato migliaia di arresti; per il resto si nota il panico generale e i tentativi disperati di fuggire all’estero, lasciandosi dietro una vita intera.

La raccolta dei riservisti sembra peraltro un grande bluff, una minaccia disperata e assai poco credibile: non ci sono mezzi e strutture per preparare alla guerra una massa di cittadini che non hanno alcuna voglia di combattere, nel migliore dei casi ci vorrebbero almeno due o tre mesi, quando potrebbe essere ormai inutile inviare altre truppe. Finora i soldati sul campo venivano dalle regioni asiatiche e caucasiche, una banda di poveracci attratti solo dalle promesse di lauti compensi e pensioni garantite, carne da macello già di fatto in esaurimento, con decine e decine di migliaia di morti, per lo più misconosciuti dallo Stato.

Le contraddizioni della strategia bellica russa, e l’enfasi delle sue motivazioni religiose, ci fanno davvero tornare indietro di mille anni, ai tempi delle Crociate per la riconquista della Terrasanta, che determinarono in gran parte l’ordine mondiale che abbiamo vissuto fino a oggi, tra Europa e Mediterraneo. Gli appelli alla guerra santa rievocano le predicazioni infuocate della Prima Crociata, invocata da papa Urbano II nel corso di un’omelia tenuta durante il Concilio di Clermont nel 1095. Il vasto pellegrinaggio armato della cristianità occidentale si concluse nel 1099 con la presa di Gerusalemme, che Putin sogna di replicare con la presa di Kiev. Le truppe già allora si mischiavano tra principati e periferie di comuni nascenti, senza riuscire a dare una solidità duratura alle conquiste, e ci pensò il Saladino, il Xi Jinping del Medioevo, a infrangere i sogni del Regno Cristiano.

Oppure si potrebbe vedere nella guerra putiniana una risposta molto tardiva alla più grande offesa che i latini hanno inferto al mondo ortodosso, durante la IV Crociata che invase Bisanzio stabilendo l’Impero Latino di Costantinopoli, durato dal 1204 al 1261. Papa Innocenzo III, il pontefice di san Francesco, l’aveva indetta per riprendere le terre ai musulmani, ma i vari gruppi dei crociati, ispirati dai mercanti veneziani, si resero colpevoli di uno dei peggiori scempi delle guerre tra cristiani, quel saccheggio di Costantinopoli che fece dire ai greci che “è meglio il turbante degli agareni, che la tiara del papa”.

L’ultima e IX Crociata si tenne verso la fine del Duecento, facendo seguito al martirio di san Luigi IX di Francia, l’ultimo monarca medievale ad aver creduto davvero alla necessità di liberare la Terrasanta per garantire il futuro della fede cristiana. Edoardo I d’Inghilterra era giunto a Tunisi troppo tardi per salvarlo, come probabilmente accadrà ai riservisti di Putin lanciati alla difesa del Donbass. Il fratello di Luigi, Carlo d’Angiò, si diresse verso Acri per approfittare della sconfitta traendone un vantaggio personale, come sembra sia impaziente di fare il sultano odierno Erdogan, che si trova molto a suo agio nel clima delle Crociate, cercando di ricoprire il ruolo del cristiano e del musulmano insieme.

L’ultima Crociata ottenne solo una tregua di undici anni, a cui non sarebbero più seguite altre avventure cavalleresche, anzi riversando gli ordini dei Templari e dei Giovanniti verso le isole del Mediterraneo e i Paesi d’Europa, con tutt’altre storie di scismi e crudeltà reciproche tra regni solo nominalmente cristiani. Un gruppo di eredi dei Templari, i Cavalieri Teutonici, cercarono di convertire al cattolicesimo i pagani del Baltico e gli ortodossi della Rus’, e furono fermati da quel giovane condottiero, sant’Aleksandr Nevskij, a cui oggi si rivolgono i russi post-sovietici in cerca d’ispirazione. E il cerchio millenario si chiude.

Rimane il timore apocalittico della catastrofe nucleare, rievocato da Putin e dai suoi ebbri scagnozzi ad ogni passo falso delle sue armate; l’ultima volta egli ha ammesso quasi comicamente che “non è un bluff”, evidentemente riferendosi agli strali precedenti, a cui comunque pochi avevano creduto. E rimane la retorica delle Crociate, inaugurata dal patriarca Kirill fin dai primi giorni della guerra e rimasta pressoché invariata fino ad oggi. La “Santa Rus” giustifica il “Russkij Mir” putiniano, rilanciando un cristianesimo militante.

La “religione del fuoco” ha devastato e distrutto centinaia di chiese, e proprio Kirill ha annunciato anche il nuovo programma di restauro degli edifici crollati sotto le bombe da lui stesso auspicate, e sostenute con la preghiera. Fra le varie giurisdizioni ortodosse in lizza nelle terre ucraine, a soffrire più di tutte sono state proprio le chiese del patriarcato di Mosca, secondo le statistiche diffuse da siti che hanno tenuto il conto di queste distruzioni.

Nella regione di Kiev sono caduti 27 edifici della Upz (ex-moscovita) e 7 della Pzu autocefala, in tutto il Paese le chiese da ricostruire sono ormai quasi 200, comprese alcune cattoliche e protestanti. Più che le Crociate contro gli infedeli, le guerre di Kirill assomigliano agli scismi dei secoli successivi tra le varie Chiese europee. Sembra impossibile aspettarsi una svolta pacifista dalla sede patriarcale, essendo la simbiosi con il Cremlino ormai inscindibile, nonostante gli appelli di papa Francesco e del Consiglio ecumenico delle Chiese, e le nuove leve dell’esercito hanno non solo la benedizione, ma anche l’obbligo canonico per sollevarsi a difesa dell’unica fede.

Invece dell’Anticristo da combattere in Ucraina e in Occidente, servirebbe una nuova versione dell’anticristo medievale scomunicato dal papa, l’imperatore Federico II di Svevia, che alla fine guidò la VI Crociata proprio nei giorni della morte di san Francesco, l’unica crociata pacifica. Evitando gli scontri militari, con le vie diplomatiche, il tanto vituperato “Puer Apuliae” divenne infine lo “Stupor Mundi”, ottenendo le maggiori conquiste territoriali di tutte le guerre in Terrasanta, quasi insediandosi come nuovo re di Gerusalemme e garantendo per sempre l’accesso dei pellegrini a luoghi sacri. Il re mangiapreti, che scriveva di teologia nei manuali sulla caccia con il falcone, potrebbe essere un modello per papi e patriarchi, presidenti e generali, nuovi zar e nuovi re, in confusione nell’era dell’indecifrabile Terza guerra mondiale.

 

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