19/06/2004, 00.00
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La Cina ha torto: i martiri cinesi non erano dei colonialisti

di Theresa Ricci

Un convegno sul movimento dei Boxer e il cristianesimo riporta in luce la verità storica dopo le accuse di Pechino alle canonizzazioni del 2000

Roma (AsiaNews) – In questi giorni si è svolta a Hong Kong e Taiwan una conferenza internazionale sul movimento dei Boxer e il Cristianesimo in Cina. Come racconta ad AsiaNews p. Gianni Criveller, missionario del Pime a Hong Kong e relatore al convegno, l'evento mirava innanzitutto a far incontrare diversi studiosi – cinesi e occidentali – per confrontare i vari punti di vista e rendere disponibili le fonti in cinese e nelle lingue occidentali, inaccessibili spesso per il problema della lingua e la difficoltà di studiare in Cina questa vicenda, ancora piuttosto controversa, soprattutto da parte cinese, che ne dà una lettura ideologica in chiave anti-occidentale.

Il convegno è stato organizzato dall'Holy Spirit Study Center di Hong Kong – di cui p. Criveller è uno studioso –, la Chinese University di Hong Kong e l'Università cattolica Fu Jen di Taipei. Si è scelto di svolgerlo anche a Hong Kong – e non solo a Taipei – per consentire la partecipazione - molto importante - anche ad alcuni studiosi della Cina continentale – cui il governo avrebbe proibito di recarsi a Taiwan -, in grado di garantire un approccio oggettivo e non una lettura ideologica dei fatti. Padre Criveller, in questa intervista, ci illustra quanto è emerso dal convegno.

Come è nata l'idea di organizzare un convegno sulla rivolta dei Boxer?

C'è un importante antefatto per il quale è stato deciso di organizzare questa conferenza. Il 1 ottobre 2000, il Santo Padre ha canonizzato 120 martiri cinesi uccisi durante il periodo dei Boxer e in parte proprio dai Boxer, suscitando una dura opposizione da parte di Pechino. In particolare, sono due i motivi della contestazione: per il governo cinese questi martiri, soprattutto quelli stranieri, erano persone indegne perché legate all'attività imperialista e colonialista delle potenze occidentali. Per la Cina, il loro assassinio è stato un atto di ribellione da parte del popolo cinese, contro l'invasione degli stranieri. In particolare, tre di questi martiri - un italiano, un francese e uno spagnolo – sono stati bollati come persone non solo indegne, ma dei veri e propri criminali. In secondo luogo, il governo cinese considera una provocazione la scelta della data della canonizzazione – il primo ottobre appunto – in quanto coincide con la festa della repubblica popolare. Ma in realtà si tratta di un pretesto, con cui la Cina ha potuto motivare la sua contrarietà. Durante la cerimonia della canonizzazione, il Papa ha affermato che non era quello il momento di fare delle analisi storiche su quel periodo e che vi sarebbero stati altri momenti in cui gli studiosi avrebbero riflettuto su cosa era accaduto davvero. In ogni caso, il Papa ha detto con forza che la Chiesa non teme la verità storica. In quella cerimonia, la Chiesa proclamava solo le virtù eroiche e cristiane di questi santi martiri. Il convegno è uno dei non molti tentativi fatti finora per rispondere a questo invito del Santo Padre a studiare dal punto di vista storico la vicenda che ha portato al martirio di questi 120 martiri, in gran parte cinesi.

Qual è il contributo del convegno a una rilettura sul ruolo dei cristiani martirizzati durante la rivolta dei Boxer?

Diverse cose importanti sono emerse da questo convegno. Se guardiamo alle fonti, emerge con chiarezza intanto che non tutti quelli che sono stati uccisi dai Boxer sono inclusi nella lista dei martiri e che quelli che lo sono – cinesi o stranieri – avrebbero tutti potuto salvarsi, rinunciando alla fede cristiana. Uno studioso di Hong Kong, Lan Xue-kei, ha rilevato che la maggior parte delle persone uccise durante il periodo dei Boxer non è stata uccisa dai boxer, ma da funzionari del governo. Quindi, non regge la teoria di Pechino, che questi martiri sono stati vittime dell'odio della popolazione nei confronti dell'invasione straniera. Un altro contributo importante è stato quello di p. Lazzarotto del Pime che ha dimostrato che tutta la documentazione su questi martiri non solo non prova la colpevolezza rispetto alle accuse contro di loro, ma parla di persone di grande integrità morale, spirito di sacrificio, generosità. Anche perché alcune accuse – come quella di stupro attribuita al missionario italiano del Pime Alberico Crescitelli - sono completamente inverosimili: è impossibile immaginare che nella società rurale cinese della fine del '900, uno straniero potesse con tanta facilità accostarsi alle donne.

Cosa è emerso sul ruolo dei missionari stranieri che la Cina considera ancora alleati delle potenze occidentali coloniali?

Il tema dei rapporti tra imperialismo e attività missionaria è molto importante per un riesame dei fatti. Le fonti testimoniano come nel caso dei missionari cattolici non c'era nessuna corresponsabilità rispetto all'attività imperialista delle potenze occidentali, anzi c'era una fortissima critica da parte della Santa Sede e dei missionari stessi, verso la politica in Cina delle potenze europee. Una delle questioni fondamentali è quella del protettorato francese sulle missioni cattoliche, che la Francia ha imposto e su cui non ha avuto nessuna delega da parte della Santa Sede e dalla quale la Santa Sede ha tentato più volte di liberarsi. Nel 1886, papa Leone XIII ha nominato un suo rappresentante diretto a Pechino per svincolarsi dall'ingerenza del protettorato francese. Addirittura, il pontefice ha rifiutato la protezione dei governi occidentali e ha perfino scritto una lettera all'imperatore Guangxu, in cui gli affidava la protezione di cristiani e missionari, per evitare agli occhi dei cinesi un'assimilazione di missionari e potenze straniere. Il governo italiano, ad esempio, ha inviato ai missionari in Cina una lettera minatoria, cui si imponeva loro di sottoporsi alla protezione italiana in Cina. I missionari italiani erano contrari a qualsiasi protettorato straniero perché lo consideravano uno scandalo. Molti non hanno risposto al governo italiano, ma qualcuno si, affermando che i missionari non erano mandati dal governo italiano, ma dal Papa. I missionari di allora avevano una consapevolezza chiara e forte di essere lì non in rappresentanza di una nazione, ma della Chiesa cattolica. Anche la posizione di Pio IX è molto interessante. Egli era profondamente deluso e avverso alla politica delle potenze europee. L'espansione missionaria sotto il suo pontificato risponde a un grande disegno in alternativa all'imperialismo occidentale, non in sussidarietà. Quindi, a mio avviso, è molto importante che la motivazione religiosa dell'espansione missionaria del XIX sec., in particolare quella in Cina, venga ricondotta alla sua vera origine, di carattere religioso, che non aveva niente a che fare con le mire commerciali dei governi anticlericali occidentali di allora. Purtroppo, questo gli storiografi marxisti – anche quelli cinesi - fanno fatica a capirlo. Tuttavia, nella storiografia cinese, ci sono già voci che si sforzano di dare una lettura più oggettiva della realtà. Una studiosa di Hong Kong, Beatrix Leon, invita gli storiografi occidentali, anche quelli legati agli istituti missionari, a non parlare di questo periodo con un senso di colpa, perché ciò non solo non rispecchia i fatti storici, ma giustifica la politica di oppressione dei cristiani da parte del governo cinese. Speriamo che questo convegno sia stato un primo passa verso una nuova interpretazione e consapevolezza sulla verità storica.

 

 

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