15/01/2004, 00.00
cina
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La bambina senza scarpe

di Gianni Criveller
Racconto di un viaggio nella Cina profonda delle campagne e della povertà

Guizhou (AsiaNews) - Guizhou si trova nel sud-ovest della Cina, ed è una delle province più povere di quel immenso paese. Gli abitanti sono relativamente pochi, 37 milioni, un terzo dei quali, soprattutto quelli che abitano sui monti, appartengono a varie minoranze etniche. Insieme ad amici di Hong Kong, ho visitato il distretto di Rong Jiang, una zona remota a sud-est della provincia, a più di 10 ore di corriera dalla capitale Guiyang. Siamo accolti da una minuscola organizzazione non governativa che si propone la costruzione e il supporto di scuole elementari di villaggi di montagna poveri ed isolati. Questa zona fu a lungo fuori dalle vie di comunicazione, remota e di difficile accesso: i missionari non vi erano mai arrivati.

Lo scorso dicembre, partiamo molto presto dal luogo del nostro pernottamento. Siamo su un'auto privata affittata per l'occasione, seguiti da un camioncino carico dei nostri 'doni' ai bambini del villaggio. Il viaggio in macchina, su una strada impossibile e ancora in costruzione dura circa quattro ore. Siamo entrati in una valle verde che sembra non finire mai, con pochi villaggi aborigeni dalle tradizionali case di legno, basse e che sembrano appoggiarsi l'una sull'altra. Ma il bello deve ancora venire. L'ultimo pezzo di strada, circa tre ore, può essere percorso solo a piedi. Noi quattro abbiamo i nostri zaini in spalla, mentre alcuni accompagnatori locali trasportano a spalle vestitini invernali, scarpe, libri, cibo etc… Attraversiamo due volte un torrente camminando su tavole all'altezza dell'acqua; il sentiero, appena accennato, sale e scende, mettendo alla prova la nostra resistenza fisica di cittadini sedentari. Ma niente al confronto della natura bellissima e incontaminata. Un silenzio che, in una metropoli come Hong Kong, ci eravamo dimenticati potesse esistere. Le verdissime montagne hanno l'originale caratteristica di avere il pendio tagliato per fare spazio a terrazze per la coltivazione agricola. Questo suggestivo sistema di terrazze sovrapposte danno la sensazione che le montagne siano delle imponenti scale, fatte di enormi gradini come per facilitare la scalata di un gigante. Qui e là si scorgono piccoli villaggi, poche case da dove sale del fumo. Difficile dire le emozioni che proviamo: sembra una camminata a ritroso nel tempo, o ai confini del mondo.

Arriviamo al nostro villaggio, popolato dall'etnia Miao, verso le due del pomeriggio. I bambini, circa una sessantina, che provengono anche da villaggi limitrofi, sono schierati nel cortile di fronte alla scuola. Salutiamo i due maestri, si raduna un po' di gente del villaggio. Le donne sono vestite con i vestiti tradizionali, gli uomini invece no. Ma non somigliano affatto alla gente delle etnie da cartolina, come si vede nei villaggi turistici, dove la vedi ballare allegramente con i costumi smaglianti e suonare e cantare canti suggestivi. La gente qui veste poveramente abiti dimessi, un po' sporchi e un po' rotti. C'è un senso di desolazione, o almeno questa è la nostra prima sensazione.

Dopo un po' di convenevoli, dobbiamo passare alla distribuzione. I giubbetti invernali e i libri sono sufficienti per tutti, abbiamo anche numerose scarpe, ma purtroppo non per tutti. Vedo che tre bambine e un bambino sono proprio scalzi: la temperatura non è gelida ma, essendo inverno, fa comunque abbastanza freddo.

Spontaneamente, prendo la prima bambina scalza, la faccio sedere sul tavolo dove abbiamo appoggiato le cose da distribuire, le infilo le calze e poi le scarpe. Sulla parte superiore del piede c'e' una piccola infezione. La calza, che ha un nodulo di stoffa all'interno, fa pressione proprio sulla ferita. Vedo che la bambina porta la mano al piede. 'Ti fa male?', le chiedo. Annuisce. Allora le tolgo la calza e gliela metto in tasca. La scarpetta, invece, fatta di gomma dura e pezza elastica, non le fa male. Quando avevo preso tra le mie mani i suoi piedi freddi e le avevo messo e poi tolto la calza, mi ero commosso. La gente del villaggio, accorsa al nostro arrivo, mi guarda divertita e incuriosita. I miei compagni fanno delle foto, e io ripeto l'operazione sugli altri tre bambini scalzi. Mi viene in mente Gesù che visitava i villaggi, sanava la gente e accarezzava i bambini.  E quanto vedo questi bambini balzare giù dal tavolo con un sorriso e poi ridendo rimettersi in fila con gli altri compagni, allora penso alle parole di Gesù: 'quando avrete fatto questo ad uno di questi piccoli.. l'avrete fatto a me…'. Per me questi bambini sono Gesù, e loro neppure lo sanno. Proprio loro mi permettono di incontrarLo in un modo nuovo, come mai mi era capitato prima nella mia vita.

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