10/05/2006, 00.00
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La lettera di Ahmadinejad a Bush: non politica, ma appello rituale

di Dariush Mirzai

Più che un vero messaggio politico o religioso, la lettera è un appello rituale che lascia intravedere un'attitudine fanatica e conferma un pensiero di natura messianica o apocalittica che anima il presidente iraniano e che costituisce una delle sfide maggiori per i pragmatici e i riformisti in Iran e per la comunità internazionale.

Teheran (AsiaNews) - Nella lettera sigillata d'Ahmadinejad a Bush, trasmessa tramite il canale ufficiale svizzero, e pubblicata subito dopo le prime reazioni scettiche dagli Stati Uniti, la parola "nucleare" non appare. La missiva si presenta come un messaggio personale, assai retorico nella forma, con un appello finale alla conversione all'islam.

Questo documento ricorda quello che l'ayatollah Khomeini aveva scritta a Gorbachev il primo gennaio 1989. Poco prima dalla morte, il fondatore della Repubblica islamica si rallegrava del crollo dell'ideologia comunista e scongiurava Gorbachev: "Insisto vivamente affinché nell'abbattere i muri delle fantasie marxiste tu non incappi nella prigione dell'Occidente e del Grande Satana… Ti richiamo a studiare seriamente e a condurre delle ricerche sull'Islam… Ti annuncio pubblicamente che la Repubblica islamica dell'Iran, essendo la base maggiore e più importante del mondo islamico, è in grado di aiutare facilmente a riempire il vuoto ideologico del tuo sistema."

Il tono d'Ahmadinejad è meno trionfalistico ma rimane in linea con la propaganda usuale. Niente di nuovo. Come Khomeini, Ahmadinejad segue il modello di Maometto, quando lui scriveva ai re del suo tempo per ottenerne la conversione all'islam. Recentemente, Ahmadinejad ha annunciato che manderà delle lettere a vari capi di Stato nell'ambito dell'"Anno del profeta Maometto" proclamato dalla Guida Suprema Khamenei. Simbolicamente, Bush è stato il primo della lista.

Sul livello puramente politico, il messaggio d'Ahmadinejad significa poco, anche se per motivi tattici è stato mandato al momento giusto per ritardare e perturbare i negoziati del Consiglio di Sicurezza. Una vera proposta di pace sarebbe stata firmata da Khamenei stesso. E neppure questo sarebbe stato una garanzia sufficiente, se si pensa alla taqiya (menzogna teologicamente licita per motivi maggiori).

Questo tipo di aperture pare poco probabile prima dall'elezione in Iran dell'"Assemblea degli Esperti", prevista questo autunno. Gli "Esperti" sono quelli che nominano la Guida Suprema. Fin a quel momento, il regime iraniano si trova in una situazione d'attesa febbrile, dove fare delle proposte d'apertura è molto più rischioso dalla posizione opposta, estremista.

Ma anche la portata spirituale della lettera a Bush è limitata. Il documento si riferisce alla religione, ma non è di natura religiosa. Ahmadinejad guarda la pagliuzza (o forse la trave) nell'occhio degli USA o d'Israele, ma non vede la trave nel proprio. Dietro parole melliflue, si sente il fanatico, che pure non prega per la conversione di Bush e del mondo. Lo stesso succede all'interno della società iraniana. Si tratta d'islam sociale e politico, non di fede viva. Questa osservazione è fatta spesso da visitatori a Teheran, sorpresi di non sentire il muezzin, di non vedere la folla nelle moschee il venerdì e di costatare che nessuno fa le preghiere rituali. Per il regime, l'importante è il controllo sociale – velo per le donne, censura della stampa, proibizione dell'alcool. L'esteriorità prima dell'interiorità – in questo senso, la libertà di coscienza è rispettata… La stessa logica appare nel messaggio "personale" del musulmano Ahmadinejad al cristiano Bush.

Piuttosto che un vero messaggio politico o religioso, la lettera d'Ahmadinejad è un'ammonizione, quasi uno scongiuro. Questo appello rituale lascia intravedere un'attitudine fanatica e manifesta, una volta di più, un pensiero di natura messianica o apocalittica, mutatis mutandis, che anima Ahmadinejad e alcuni leader del regime iraniano. Una tendenza che si va rafforzando e che costituisce probabilmente una delle sfide maggiori per i pragmatici e i riformisti in Iran – e per la comunità internazionale.

 

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