14/11/2007, 00.00
FILIPPINE
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La morte di Wahab Akbar “ha fatto comodo a molti”

Secondo p. Giulio Mariani, missionario del Pime nelle Filippine, è impossibile dare un volto agli attentatori che ieri hanno piazzato una bomba nei pressi del Parlamento di Manila. Il deputato ucciso era un politico molto potente, ambiguo nel suo rapporto con gli estremisti islamici di Abu Sayyaf e per questo inviso al potente Milf, che oggi riprende i colloqui di pace con Manila.
Manila (AsiaNews) – La bomba che ieri sera ha ucciso il deputato musulmano Wahab Akbar “potrebbe avere molti mittenti, e molte cause. Non è possibile dare una lettura chiara di quanto è avvenuto, né indicare un colpevole: l’unica cosa quasi certa è che chi ha piazzato la bomba voleva prendere lui”. Lo dice ad AsiaNews p. Giulio Mariani, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere nelle Filippine e grande conoscitore del Paese.
 
Akbar, riprende p. Mariani, “era da molti sospettato di essere, se non il fondatore, quanto meno uno dei fiancheggiatori del gruppo terrorista islamico di Abu Sayyaf [“Portatori di spada” in lingua locale, considerati il braccio filippino di al-Qaeda ndr]. Inoltre, alcuni vedevano in lui il grande oppositore ai colloqui di pace fra il governo filippino e gli indipendentisti del Moro Islamic Liberation Front (Milf)”.
 
Eppure, aggiunge, “non va dimenticato il suo peso politico, che gli aveva procurato molti nemici. Ha vinto le elezioni parlamentari con una grande maggioranza; una delle sue mogli è governatore della provincia di Basilan, mentre una seconda è sindaco della capitale provinciale. Questo suo successo lo rendeva temibile nell’arena politica filippina”.
 
Tuttavia, “il suo ruolo non è mai stato chiarito. Quello che è certo è che venne coinvolto anche nelle trattative per la liberazione di p. Luciano Benedetti, missionario del Pime sequestrato nel 1998 nei pressi di Sibuco (Zamboanga del Norte, sull'isola di Mindanao) e rilasciato il 16 novembre dopo 68 giorni di prigionia. Eppure, non abbiamo mai capito da che parte stesse”.
 
Alla luce di questi fatti, conclude, “non si potrà dare un volto agli attentatori se non dopo una lunga indagine di polizia”. Proprio i responsabili della pubblica sicurezza di Manila hanno confermato di aver ritrovato alcuni pezzi dell’ordigno, piazzato in una motocicletta parcheggiata accanto alla macchina del deputato, ed un telefono cellulare usato come detonatore. Tuttavia, nessun membro di polizia ha voluto indicare con chiarezza gli autori del gesto, che è costato la vita ad altre due persone.
 
Secondo molti quotidiani locali, dietro alla bomba “c’è la mano del Milf che, stanco di subire discriminazioni politiche per colpa di Abu Sayyaf, ha voluto dare un segnale preciso ai suoi militanti, ricordando che la lotta armata non è stata ancora abbandonata”. I leader del movimento, per ora, non rispondono a queste illazioni, e commentano soltanto la ripresa odierna dei colloqui di pace con il governo di Manila, che sembra disponibile a venire incontro alle loro richieste territoriali.
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