20/01/2015, 00.00
ISRAELE - LIBANO - IRAN
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La questione non è "se" o "quando", ma "in che misura" Hezbollah si vendicherà contro Israele

di Paul Dakiki
Minacce a parte, sembra che né il Partito di Dio né gli iraniani vogliano l'apertura di un nuovo fronte di guerra. In Israele c'è chi si chiede se la decisione di dare il via al raid in Siria non sia legata alle prossime elezioni politiche in Israele, osservando che "Netanyahu ha vinto le elezioni del 2013 grazie a un programma sulla sicurezza" e che tenere gli stessi temi al centro della campagna elettorale gli permetterebbe di restare al potere.

Beirut (AsiaNews) - La questione non è "se" o "quando", ma "in che misura" Hezbollah vendicherà l'uccisione di Jihad Mughniyeh, esponente di primo piano del movimento e del generale iraniano Mohammad Allahdadi, oltre che di altri quattro uomini del Partito di Dio, compiuta dagli israeliani in un raid in territorio siriano due giorni fa.

Ieri, ai funerali di Mughniyeh (nella foto) gli slogan "morte a Israele" erano previsti, così come le dure parole di condanna da parte di Teheran per la morte di uno dei massimi responsabili delle Brigate Al Quds, il corpo delle Guardie della rivoluzione che opera fuori dai confini nazionali. Così, il segretario dell' Iran's Supreme National Security Council si è detto certo di una risposta "schiacciante" da parte di Hezbollah. Esponenti del movimento citati da As-Safir - quotidiano loro vicino - affermano che la risposta è "inevitabile", ma che "non vogliamo agire sotto la spinta dell'emozione". D'altro canto non si rinuncia alle minacce: ieri un editoriale dello stesso giornale descriveva la futura guerra con Israele parlando del lancio di migliaia di missili, attacchi contro infrastrutture civili e dispiegamento di uomini in  Galilea, ossia lungo il confine siriano con Israele.

Minacce a parte, sembra di capire che Hezbollah non intende dare il via a un conflitto su larga scala, anche perché già impegnato in Siria a dare man forte al regine di Bashar al-Assad. Interesse simile dovrebbe avere anche l'Iran, allo scopo di evitare il rischio di compromettere i negoziati sul nucleare, in corso con i 5+1, i cinque membri del Consiglio di sicurezza più la Germania.

Da parte israeliana, mentre si continua a rifiutare di confermare ufficialmente l'attacco, ieri il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il suo Paese non rinuncerà al diritto di difendersi contro tutti coloro che vogliono diffondere il terrore e attaccare i suoi cittadini. Appare legato a tali affermazioni quanto scrive oggi il Jerusalem Post, per il quale "la domanda che rimane è il livello del futuro attacco di Hezbollah. Un attacco relativamente minore può provocare una risposta israeliana proporzionale, che potrebbe a sua volta mettere alla fine alla sequenza di scontri e a una limitazione dell'incidente. Hezbollah non ha nulla da guadagnare da aprire un secondo fronte contro Israele, in un momento in cui resta profondamente coinvolto nel suo costoso intervento in Siria nella guerra contro i ribelli sunniti. Un attacco su larga scala, invece, aprirebbe le porte a un rapido deterioramento della situazione. Lo stesso accadrebbe per un massiccio attentato terroristico all'estero contro cittadini israeliani". "Ogni errore di valutazione comporta il rischio di dare il via a un conflitto regionale".

Ma c'è chi, al di là delle questioni strettamente militari, si chiede se la decisione di dare il via al raid in Siria non sia legata alle prossime elezioni politiche in Israele. "Le campagne elettorali in Israele - osserva un editoriale di Haaretz - sono caratterizzate da azioni militari di alto profilo, in particolare quando il partito al potere è in difficoltà. L'ipotesi non dichiarata dei nostri leader è che il pubblico (ebraico) ama vittorie militari semplici e tali dimostrazioni di forza hanno lo scopo di rinforzare l'immagine del Primo ministro e del ministro della Difesa e convincere l'elettore che devono rimanere in carica. Chiaramente - prosegue - non può essere provato che l'azione militare di questa settimana in Siria derivava da considerazioni elettorali, piuttosto che semplicemente da uno sforzo per difendere il Paese, ma gli elementi circostanziali di una influenza politica sono pesanti".

Da parte sua, Yedioth Ahronoth evidenzia che "Netanyahu ha vinto le elezioni del 2013 grazie a un programma sulla sicurezza, centrata sulla minaccia nucleare dell'allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. La macchina della campagna del Likud chiede ora: 'Chi vuole  combattere il terrorismo islamico - Buji e Tzipi o Bibi?'". "Se Netanyahu riesce a fare della sicurezza il tema caldo entro marzo, vincerà. Se il tema principale ritorna sulle questioni socio-economici", sarà il Partito Laburista ad avere la possibilità di dar vita a un governo diverso.

 

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