19/04/2008, 00.00
CINA – THAILANDIA
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La torcia a Bangkok, Pechino “stringe” sui visti

Il governo thailandese permette le manifestazioni di protesta “che rimangono pacifiche”. Il governo cinese accusa nuovamente i tibetani di terrorismo ed impone nuovi regolamenti per ottenere il visto.
Bangkok (AsiaNews/Agenzie) – La torcia olimpica in viaggio verso Pechino “è il simbolo di un evento sportivo, e come tale siamo onorati di riceverla. Chi vuole protestare può farlo, ma deve rimanere pacifico: in caso contrario, siamo pronti ad intervenire”. È l’atteggiamento ufficiale del governo thailandese, espresso dal premier Samak Sundaravej, nei confronti della fiaccola dei Giochi, arrivata ieri a Bangkok fra ingenti misure di sicurezza. La torcia ha cominciato il suo percorso  in Thailandia quest'oggi, partendo dalla zona della Chinatown di Bangkok, alla presenza di circa 2000 poliziotti locali.
 
Per l’occasione, diversi gruppi hanno deciso di manifestare contro la repressione cinese in Tibet. Le proteste, dice il presidente del Comitato olimpico thai Yuthasak Sasiprapa, “devono rimanere nella legalità. Faremo scortare la torcia da poliziotti ed agenti dei servizi per tutta la sua rotta, ma non abbiamo intenzione di colpire i manifestanti pacifici”.
 
Nel frattempo, non si ferma la propaganda comunista contro i manifestanti tibetani. In un editoriale del governativo People’s Daily, il Congresso dei giovani tibetani (organizzazione con sede in India) viene definito “un gruppo terrorista, che non ha cura né rispetto per la vita umana”. Il Congresso, inserito dal ministero cinese per la Pubblica sicurezza nella lista dei gruppi che “cercano l’indipendenza della regione”, non risponde alle accuse.
 
Tuttavia, le proteste internazionali e l’appoggio espresso da milioni di persone alla causa tibetana preoccupano l Cina, che teme nuove proteste nel corso dei Giochi Olimpici di Pechino. Per cercare di mantenere la situazione stabile, il governo ha emanato dei nuovi regolamenti, molto restrittivi, per ottenere il visto cinese.
 
La Camera di commercio statunitense e quella britannica hanno reagito inviando al governo due proteste formali: la decisione, non comunicata, ha colpito in maniera molto dura tutti quegli industriali che commerciano con la Cina, e che si sono ritrovati all' improvviso senza visto.
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