13/07/2023, 12.03
LIBANO
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Le Drian rilancia la ‘missione impossibile’ per la presidenza libanese

di Fady Noun

I due livelli dello stallo istituzionale, interno ed esterno, che bloccano la nomina del nuovo capo dello stato. Il “Gruppo dei cinque” (Francia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar ed Egitto) si riunisce il 17 luglio a Doha in cerca di una soluzione politica. I partiti cristiani continuano a rifiutare Sleiman Frangié, candidato di un movimento (Hezbollah) troppo armato.

Beirut (AsiaNews) - In queste ore è iniziato il conto alla rovescia per il ritorno a Beirut dell’inviato speciale del presidente Emmanuel Macron per il Libano, l’ex ministro francese degli Esteri Jean-Yves Le Drian, è iniziato. Un incontro preliminare in vista del ritorno del diplomatico in Libano - la data prevista è quella del 24 luglio - è in calendario il 17 luglio prossimo a Doha, in Qatar, dove si ritroveranno i delegati del gruppo di cinque Paesi impegnati nella ricerca di una soluzione politica alla crisi presidenziale.

Il 6 febbraio scorso rappresentanti di Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita, Egitto e Qatar si sono riuniti una prima volta, a Parigi, per lanciare un’azione congiunta destinata a mettere fine alla vacanza ai vertici dello Stato libanese. Tuttavia né gli americani né i sauditi, scrive Le Monde, si sono “davvero coinvolti” nella missione, “lasciando la Francia in prima linea nonostante i dubbi sulle sue scelte che si erano rivolte in primo momento a Sleiman Frangié, candidato di Hezbollah. Il Qatar - prosegue il quotidiano transalpino - sta cercando, finora senza successo, di imporre il comandante in capo dell’esercito, il generale Joseph Aoun”.

Il ritorno di Le Drian nella regione avviene a tre settimane di distanza da una prima visita, il 21 giugno, durante la quale ha incontrato praticamente tutti i leader politici, militari e religiosi del Libano, oltre a personalità della società civile. Gli osservatori ritengono che dovrà tornare più volte prima di presentare le sue proposte a Macron, al termine di una missione che sembra “quasi impossibile” secondo la stampa transalpina. Il diplomatico francese si è recato il 10 luglio in Arabia Saudita, dove ha discusso i risultati della sua “missione di ascolto” in Libano con il consigliere della corte reale Nizar Alaoula, che è anche responsabile del dossier libanese.

Sul fronte interno, in assenza di una maggioranza parlamentare qualificata - come dimostrano le dodici sessioni elettorali dallo scorso novembre per eleggere un presidente andate a vuoto - si registra una impasse totale. Hezbollah, che sostiene il leader nordista Sleiman Frangié, rifiuta qualsiasi candidato alla presidenza che metta in discussione il suo potere militare acquisito in decenni di battaglia sui fronti arabi, dalla Siria allo Yemen, passando per l’Iraq. Di contro, le forze ostili alle milizie filo-iraniane si rifiutano di lasciare campo libero a Hezbollah. Dopo aver sostenuto la candidatura di un rappresentante interno, il deputato Michel Mouawad, ora appoggiano quella dell’ex ministro delle Finanze Jihad Azour, alto funzionario del Fondo monetario internazionale (Fmi). Tuttavia, gli esponenti del “Partito di Dio” e alleati bloccano tutte le sessioni elettorali facendo sistematicamente mancare il quorum necessario prima del secondo turno di voto. Lo hanno fatto di nuovo il 14 giugno quando secondo Samir Geagea l’ex ministro Azour, che aveva raccolto 59 voti al primo turno, avrebbe potuto facilmente essere eletto al secondo con 65 voti, se avesse ottenuto anche solo sei voti in più.

Parigi spera si arrivi a una soluzione entro la fine dell’estate, ritenendo urgente uscire dallo stallo istituzionale per avviare le riforme necessarie a contenere la crisi finanziaria e formare un nuovo governo. Serve inoltre evitare che la vacanza presidenziale complichi pure la successione del governatore della Banca del Libano, Riad Salamé, il cui mandato scade a fine luglio, o quella del comandante delle Forze armate, generale Joseph Aoun, il prossimo novembre.

Il partito delle Forze libanesi, da parte sua, si mostra al momento ostile verso gli sforzi della Francia, che ha criticato per aver sostenuto da dietro le quinte, dal febbraio scorso, la candidatura di Sleiman Frangié, uomo di Hezbollah. Questa scelta, presentata da Parigi come “pragmatica” con una figura dell’establishment quale presidente e un profilo riformista come primo ministro, è considerata dai liberali libanesi come una “interferenza”. 

Intanto, mentre si avvicina il ritorno di Le Drian, il capo del Movimento patriottico libero (Cpl) Gebran Bassil ha appena dichiarato: “Abbiamo ripreso il dialogo con Hezbollah in vista di una soluzione senza precondizioni”, pur mostrandosi sempre fedele, come le Forze libanesi, alla candidatura di Azour. Da parte sua il patriarca maronita, card. Beshara Raï, segue con attenzione tutti gli andirivieni diplomatici e interni e continua a difendere l’idea di una conferenza internazionale che proclami la neutralità del Libano.

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