03/09/2025, 12.26
VATICANO
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Leone XIV: 'La nostra fragilità è un ponte verso il cielo'

Dall'udienza in San Pietro la catechesi sugli ultimi istanti della vita terrena di Gesù. La sua sete è quella dell'umanità: "desiderio profondo" di amore. Salvezza è "nell’arte di domandare senza vergogna e di offrire senza calcolo". La preghiera per il popolo del Sudan piegato dalla guerra, dalla carestia e ora anche da una frana devastante che ha provocato moltissimi morti. 

Città del Vaticano (AsiaNews) - La gioia si nasconde “nella fraternità, nella vita semplice, nell’arte di domandare senza vergogna e di offrire senza calcolo”. “La nostra fragilità è un ponte verso il cielo”, ha detto oggi papa Leone XIV all’udienza generale in piazza San Pietro, proseguendo il ciclo di catechesi per il Giubileo dedicato a “Gesù Cristo nostra speranza”. Al centro del commento odierno il Vangelo di Giovanni, che narra del “momento più luminoso e insieme più tenebroso della vita di Gesù”: la passione. “Nella sete di Cristo possiamo riconoscere tutta la nostra sete. E imparare che non c’è nulla di più umano, nulla di più divino, del saper dire: ho bisogno”, ha affermato.

“Non temiamo di chiedere, soprattutto quando ci sembra di non meritarlo. Non vergogniamoci di tendere la mano. È proprio lì, in quel gesto umile, che si nasconde la salvezza”. Prevost ha spiegato che nelle pagine che narrano la fine della vita terrena di Gesù, l’evangelista consegna alcune parole che detengono un “mistero immenso”: “Ho sete” (19, 28) e “È compiuto” (19,30). Sulla croce Gesù è un “mendicante d’amore”. “Non proclama, non condanna, non si difende. Chiede, umilmente, ciò che da solo non può in alcun modo darsi”, ha detto il pontefice. La sua sete - quella di tutte le persone - non è solo fisiologica. Ma esprime un “desiderio profondo: quello di amore, di relazione, di comunione”, ha detto.

E l’amore “vero” prevede anche di “imparare a chiedere”, non solo di “dare”. Così, pure Dio “non si vergogna di mendicare un sorso”, ha aggiunto Leone XIV. E manifesta tutta la sua umanità, che è la stessa di ogni persona. “Nessuno di noi può bastare a sé stesso. Nessuno può salvarsi da solo. La vita si ‘compie’ non quando siamo forti, ma quando impariamo a ricevere”. Infatti, solo quando Gesù riceve da bere - con una spugna imbevuta di aceto - proclama: “È compiuto”. “L’amore si è fatto bisognoso, e proprio per questo ha portato a termine la sua opera”, ha affermato il papa. 

Questa logica rappresenta il “paradosso cristiano”. “Dio salva non facendo, ma lasciandosi fare. Non vincendo il male con la forza, ma accettando fino in fondo la debolezza dell’amore”, ha continuato Prevost. L’insegnamento di Gesù sulla croce è “che l’uomo non si realizza nel potere, ma nell’apertura fiduciosa all’altro, persino quando ci è ostile e nemico”. La salvezza non risiede nell’“autonomia”, ma nel “riconoscere con umiltà il proprio bisogno e nel saperlo liberamente esprimere”, ha detto il papa nella prima udienza del mese. “Chiedere non è indegno, ma liberante”. E poi: “Siamo creature fatte per donare e ricevere amore”.

Salutando le persone di lingua italiana, il pontefice ha riportato le “notizie drammatiche” che giungono dal Sudan, il cui popolo è schiacciato da numerose tragedie. “A El Fasher, numerosi civili sono intrappolati nella città, vittime di carestia e violenze”, ha ricordato. “A Tarasin, una frana devastante ha causato moltissimi morti (oltre mille persone, ndr), lasciando dietro di sé dolore e disperazione”. Disastri a cui si aggiunge l’ombra del colera, “che minaccia centinaia di migliaia di persone già stremate”. “Sono più che mai vicino alla popolazione sudanese, in particolare alle famiglie, ai bambini e agli sfollati. Prego per tutte le vittime”. 

Papa Leone XIV ha rivolto un appello agli uomini responsabili, così come alla comunità internazionale, “affinché siano garantiti corridoi umanitari e si attui una risposta coordinata per fermare questa catastrofe umanitaria”. “È tempo di avviare un dialogo serio, sincero e inclusivo tra le parti, per porre fine al conflitto e restituire al popolo del Sudan speranza, dignità e pace”, ha affermato.

Prima della benedizione finale il pontefice si è rivolto "ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli”, ricordando la memoria liturgica di San Gregorio Magno - papa e dottore della Chiesa il cui corpo riposa nella basilica di San Pietro - che si celebra oggi. “Questo Papa è detto ‘il grande’ per la sua eccezionale attività di pastore e maestro di fede in tempi assai difficili per la società e la Chiesa: una ‘grandezza’ che attingeva forza dalla fiducia nel Cristo”, ha spiegato Prevost. “Auguro a ciascuno di voi di riconoscere nel Signore l’unica vera forza dell’esistenza”. 

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