04/01/2013, 00.00
MYANMAR
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Lotta di potere interna e gli interessi della Cina nel “genocidio” dei Kachin

di Francis Khoo Thwe
Attivista cattolica denuncia una emergenza umanitaria, che investe decine di migliaia di profughi. Il governo “non vuole” la pace con il gruppo etnico, critiche anche per Aung San Suu Kyi. Dietro la guerra, la Cina vuole tutelare i propri “affari” in Myanmar. Appello al papa e ai cristiani del mondo, per la fine delle violenze.

Yangon (AsiaNews) - Nello Stato di Kachin - nel nord del Myanmar, al confine con la Cina - è in atto un vero e proprio "genocidio", perpetrato dall'esercito birmano mediante l'uso di armamenti pesanti e raid a tappeto dell'aviazione. L'offensiva contro la minoranza etnica e il gruppo ribelle testimonia che "il governo non vuole la pace", ma "segue le istruzioni della Cina" che chiede stabilità nell'area per proteggere i propri interessi. È quanto afferma ad AsiaNews l'attivista cattolica Khon Ja, membro del movimento Kachin Peace Network, impegnato nella pacificazione delle aree teatro di conflitti etnici e profonda conoscitrice della zona. Al contempo, la giovane lancia un appello ai cristiani di tutto il mondo perché "sostengano le sofferenze del popolo Kachin" e il dramma di "decine di migliaia di sfollati".

I giornali ufficiali birmani riferiscono che l'esercito, sostenuto dalla copertura aerea, avrebbe conquistato una postazione strategica (Pojint-711 hill) e le zone circostanti il campo di Laja Yang, finora nelle mani delle milizie Kia (Kachin Indipendence Army). Dopo mesi di silenzio pressoché assoluto, anche i giornali ora parlano di un conflitto che si fa sempre più cruento. Come confermato da fonti militari (e da un video mostrato in esclusiva da AsiaNews), le forze governative usano pure lo spazio aereo per indebolire i ribelli. Ai caccia si affiancano elicotteri di fabbricazione russa, mortai e lanciarazzi di manifattura svedese.

A dispetto degli appelli delle Nazioni Unite e, oggi, dei leader etnici Karen - altro gruppo minoritario dell'Unione del Myanmar - che chiedono la fine dell'offensiva e colloqui di pace, la situazione resta complessa. In gioco vi sono delicati equilibri di potere interni alla Birmania e interessi economici internazionali. Da un lato, infatti, vi è il governo cosiddetto "riformista", che ha aperto il Paese all'Occidente e agli Stati Uniti. Dall'altra, la leadership militare - che controlla il Parlamento e la vita politica - che ha instaurato profondi legami (anche economici) con la Cina, la quale ha sfruttato decenni di embargo e di sanzioni per rafforzare la propria posizione nella regione.

Il tutto a discapito della popolazione, vittima di un vero e proprio "genocidio" come conferma l'attivista cattolica Khon Ja. "Siamo all'ottavo giorno di bombardamenti aerei" conferma ad AsiaNews, e chi soffre è la popolazione civile "costretta già a subire le difficoltà della stagione, con temperature fino a meno sei gradi nei campi profughi nel nord" dello Stato Kachin. Vi sono inoltre problemi di rifornimenti e di cibo, che investono "almeno 50mila profughi" ma il numero potrebbe essere maggiore.

Non mancano le accuse ai militari e "al governo che non vuole la pace", ma "segue le direttive della Cina" e degli investitori che "chiedono sicurezza" nelle altre zone strategiche per l'economia, come lo Stato di Rakhine. A questo si aggiungono le critiche al comportamento di Aung San Suu Kyi e di altri attivisti, "cambiati" negli ultimi mesi tanto da apparire "troppo appianati sulle posizioni del presidente Thein Sein". Riprendendo le parole di papa Benedetto XVI in tema di pace, l'attivista cattolica rivolge infine un appello ai cristiani di tutto il mondo e al Vaticano perché "condannino gli atti di violenza" e sostengano la popolazione che versa in condizioni drammatiche.

L'organizzazione Kachin Kio, braccio "politico" del Kia, è il solo gruppo "ribelle" birmano a non aver sottoscritto un accordo di pace con il presidente Thein Sein e il governo "riformista", dalla salita al potere nel marzo 2011. Le violenze sono riprese qualche mese più tardi, a giugno, dopo circa 17 anni di relativa calma e hanno finora causato almeno 75mila profughi e vittime civili. Alla base dello scontro, il rifiuto opposto dai leader Kachin di abbandonare una "postazione strategica", che sorge accanto a un importante impianto idroelettrico, frutto di un accordo congiunto fra Cina e Myanmar. Per gli esperti è proprio lo scontro coi Kachin, il "problema dei problemi" - nel lungo periodo - che dovrà affrontare e risolvere il governo centrale in un'ottica di "democratizzazione". 

 

 

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