07/06/2010, 00.00
CIPRO – VATICANO
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Maroniti ciprioti: una comunità in via di estinzione, illuminata dalla visita del papa

di Fady Noun
Durante il viaggio apostolico a Cipro, Benedetto XVI ha incontrato la comunità maronita, alla quale ha chiesto di portare il peso della croce di Cristo. Il papa ha dedicato una “importanza cruciale” a sacerdoti, educatori e ai consacrati, modelli di fede per i giovani. Ai fedeli il compito di portare la luce del Vangelo sulle tenebre della superstizione, secondo l’esempio di San Marone.
Nicosia (AsiaNews) – Sedute nelle prime file del cortile della scuola elementare maronita di Nicosia, stipata da file di sedie bianche, un cortile del tutto spoglio – senza alberi né coperture – una quindicina di anziane contadine maronite hanno assistito, la mattina del 5 giugno, all’incontro di papa Benedetto XVI con la comunità dei cattolici di Cipro. Le donne sono abituate al sole e provengono da villaggi dai nomi musicali: Aya Marina, Courmagiti, Assomatos o Carpasha. Villaggi dai quali sono stati cacciati più di 35 anni fa, nel 1974, quando l’isola [di Cipro] è stata invasa dall’esercito turco.
 
È stato il papa stesso a chiedere che le donne fossero sedute nelle prime file. Del resto, la cerimonia è stata in gran parte dedicata a loro. Oggigiorno i cattolici ciprioti sono soprattutto loro. Certo, a Cipro vi è anche una comunità di rito latino legata alla Custodia di Terra Santa e composta, in maggioranza, da immigrati e lavoratori stranieri. Tuttavia, delle due minoranze in questo Paese a larga maggioranza ortodosso, la più fragile e la più minacciata, quella che ha davvero bisogno di aiuto, è la comunità maronita, formata da alcune migliaia di fedeli.
 
La sollecitudine mostrata dal papa alla piccola comunità maronita di Cipro, ricorda con forza quella che Giovanni Paolo II ha manifestato verso il Libano. Si ha l’impressione che attraverso loro, la Chiesa universale voglia preservare un modello a rischio di estinzione. Perché esiste il rischio concreto di veder sparire i maroniti da Cipro. Cacciate dai loro villaggi, le famiglie hanno reagito in modo diverso al dramma. Nei villaggi, il tempo si è fermato. Sono rimasti alcuni anziani, timidi, di un’altra epoca. Certe altre famiglie, che hanno deciso di fuggire, soffrono per le loro terre, le loro case, i raccolti, le chiese. Ma la generazione dei giovani si è adattata a questa sventura e ha cominciato a guardare avanti.
 
Secondo il deputato Antonis Hagi Russos, rappresentante in Parlamento della comunità maronita cipriota, l’80% dei matrimoni di giovani maroniti sono ormai delle unioni “miste”, tanto che dalla prossima generazione, queste persone si saranno assimilate alla popolazione cipriota greca, o verranno contaminate da un crescente laicismo, perdendo in questo modo tutto il valore dell’identità maronita. Il deputato ha offerto al papa un piatto d’argento, sul quale sono incisi i nomi dei villaggi maroniti della zona turca e nel quale si esprime il desiderio della popolazione “di riprendere le proprie origini”.
 
Ai maroniti ciprioti che l’hanno acclamato sabato scorso, il papa ha potuto assicurare nel concreto: “Conosco i vostri desideri e le vostre sofferenze – ha affermato Benedetto XVI – e spero che grazie all’aiuto delle parti interessate, vi sia assicurata in modo rapido una vita migliore”. Da dove provenga una simile rassicurazione, nessuno può dirlo.
 
Certamente, grazie all’azione energica del loro vescovo mons. Boutros Gemayel, oggi rimpiazzato per sopraggiunti limiti di età, la comunità maronita sembra essersi ripresa. Intense trattative a livello diplomatico hanno spinto le autorità turche a migliorare le condizioni di accesso degli abitanti dei villaggi alle loro terre, di modo che per tre di loro è di nuovo possibile celebrare la messa domenicale. Peraltro, alcuni anziani rimasti nella terra di origine hanno potuto nuovamente coltivare i terreni e sono assicurati i raccolti di olive. “Ma non per il villaggio di Aya Marina”, intervengono i diretti interessati. Infatti, questo villaggio è considerato una zona militare, e tutte le abitazioni sono state occupate dall’esercito turco.
 
Tuttavia questa sanatoria, per quanto salutare possa essere stata, deve continuare per diventare definitiva. Questo compito è ora nelle mani di mons. Youssef Soueif, successore di mons. Gemayel, sempre presente alle cerimonie di accoglienza del papa. “In mancanza di un ritorno al villaggio dei giovani, deve essere il villaggio che va restituito loro” afferma Maria Koikkonnou, una maronita di Cipro impegnata nei preparativi della visita.
 
In altri termini, la generazione dei giovani deve essere restituita ai valori del villaggio, ovvero va evangelizzata dal principio. Da qui, forse, l’importanza cruciale che il papa ha dedicato durante la sua visita ai sacerdoti, agli educatori cristiani e a quanti hanno scelto la vita consacrata. Nel corso dell’omelia pronunciata nella messa alla cappella della Santa Croce, il pontefice li ha esortati a rimanere fedeli alla croce di Cristo, a essere dei modelli di costanza di fronte alle avversità, anche se questo significa – in certi casi – donare la propria vita. Il papa ha lanciato questo monito: “Immaginate cosa sarebbe il mondo, senza la croce?”. Una domanda che fa tremare di per se stessa.
 
Dopo lo scambio di discorsi e dei doni, il torrido cortile della scuola elementare maronita ha ospitato rappresentazioni della vita dei villaggi, ricreati in modo eccezionali attraverso canti e balli. Essi, grazie alla loro creatività e alla loro sincerità, hanno fatto dimenticare il solleone.
 
San Marone, l’eremita del 4° secolo divenuto padre di una comunità che vanta 7 milioni di persone sparse in tutto il mondo, ha costruito la prima chiesa sui resti di un tempio pagano. Questo pare essere anche il destino della comunità maronita: sostituire in modo progressivo la luce del Vangelo alle tenebre della superstizione, anche quando questa luce è attenuata e arriva a noi sotto le sembianze della più umana, della più semplice delle gioie.
 
Foto: Fady Noun
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