Mathieu: la prima volta di un arcivescovo di Teheran tra gli elettori del Papa
Francescano di origine belga, ha ricevuto la porpora il 7 dicembre scorso nell’ultimo concistoro. La Chiesa iraniana una realtà di “periferia”, piccolo gregge ‘trasparente’ nella fede. Le critiche verso quanti nutrono una visione “preconcetta” di una nazione ricca di “contrasti”. Il desiderio di formare “pastori locali”.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Una “piccola minoranza” che deve “rimanere” nel Paese a dispetto delle difficoltà, per essere testimone di quella che papa Francesco chiamava la “Chiesa dello 0,…”. Anche se, a volte, le porte dei luoghi di culto “restano chiuse, e questo è triste”. Così il card. Dominique Joseph Mathieu, arcivescovo di rito latino di Teheran-Ispahan, elevato al rango cardinalizio il 6 ottobre scorso, raccontava ad AsiaNews la piccola comunità cattolica iraniana che per la prima volta nella sua storia ora sarà rappresentata in un conclave. Pur dovendo muoversi “su un terreno molto scivoloso” - spiegava - l’essenziale è mantenere la presenza perché “anche dove la porta è chiusa, l’importante è che ci sia sempre una porta. Perché una porta è sempre un invito a entrare, nei tempi stabiliti da Dio”.
Dominique Joseph Mathieu arcivescovo di Teheran-Ispahan, è nato il 13 giugno 1963 ad Arlon, in Belgio. Dopo studi liceali è entrato nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e ha emesso la professione solenne nel 1987. Ordinato sacerdote il 24 settembre 1989, dal 2013 è incardinato nella Custodia Provinciale d’Oriente e di Terra Santa, e negli anni ha ricoperto diversi incarichi: promotore vocazionale, segretario, vicario e ministro provinciale della Provincia Belga dei Frati Minori Conventuali, rettore del Santuario nazionale di Sant’Antonio di Padova a Bruxelles e direttore della relativa Confraternita.
Destinato al Libano nel 2013, nella Custodia Provinciale d’Oriente e di Terra Santa, è stato Segretario Custodiale, Formatore, Maestro dei Novizi e Rettore dei Postulanti e dei candidati. Negli anni ha sviluppato una profonda sensibilità nella prospettiva del dialogo con il mondo musulmano. L’8 gennaio 2021 la nomina ad arcivescovo, con la significativa scelta di papa Francesco di affiancare il nome della capitale Teheran alla tradizionale sede di Ispahan. La consacrazione è stata celebrata il 16 febbraio successivo, festa di san Maruthas patrono d’Iran, nella basilica dei XII Apostoli a Roma. Solo diversi mesi più tardi ha potuto prendere possesso della sede, dove ha fatto il suo ingresso il 12 novembre successivo avendo ricevuto i permessi dalle autorità iraniane. Fra i suoi incarichi, dall’11 gennaio scorso vi è anche quello di membro del Dicastero delle cause dei santi.
In Iran vi sono circa 22mila cattolici (circa 500mila i cristiani) su un totale di quasi 82 milioni di abitanti, in larga maggioranza musulmani sciiti (90%, i sunniti sono poco più del 5%). Fra le varie Chiese vi sono caldei, armeni e fedeli di rito latino, che si sommano a europei e latino-americani che lavorano nella Repubblica islamica. Secondo la Costituzione iraniana (art. 13) cristiani, zoroastriani ed ebrei sono liberi di praticare il culto “nel rispetto” delle leggi islamiche. I cristiani hanno anche rappresentanti in Parlamento (Majlis).
Pur essendo una Chiesa di “periferia”, quella dell'Iran non è una realtà “dimenticata” affermava il porporato, come dimostra appunto “la nomina a cardinale” decisa da papa Francesco. In questi tre anni e mezzo alla guida della comunità cattolica di rito latino della capitale iraniana ha potuto apprezzare una realtà “assai viva, che pur nelle difficoltà [ad esempio non è possibile avere nuovi sacerdoti, ndr] ha saputo trovare il modo di vivere una certa forma di sinodalità”. Vi sono anche, aggiunge, “buoni rapporti fra cattolici di rito latino e assiro-caldei, armeni, anche se queste ultime sono Chiese etniche e, come tali, possono ricevere solo fedeli appartenenti a quel rito specifico”.
Parlando dell’Iran, il porporato racconta di una “visione preconcetta” per un Paese “pieno di contrasti” in cui a soffrire è “soprattutto la popolazione a causa dell’embargo economico e delle sanzioni [occidentali] in vigore, che sono causa di gravi problemi”. Tuttavia, da qualche settimana la diplomazia è al lavoro per scongiurare un ulteriore conflitto regionale, in un quadro di profonda tensione che vede opposte la Repubblica islamica a Israele, sostenuto dagli Stati Uniti. “Con il presidente Masoud Pezeshkian, vi è anche un tentativo - conferma il card. Mathieu - di maggiore dialogo e riavvicinamento con l’Occidente stesso”.
Sul piano pastorale, l’obiettivo dell’arcivescovo di Teheran-Ispahan è di “formare persone perché si assumano la responsabilità della Chiesa locale, anche se servirà tempo, perché noi siamo - o dobbiamo essere - il lievito di questa terra”. In quest’ottica il porporato invita a “mettere a disposizione la nostra ricchezza di seguaci di Cristo, essere di amore incondizionato e misericordia. Parafrasando san Francesco, quando non si può rendere testimonianza con la parola facciamolo con la nostra vita: credo che questo sia ciò che ci si aspetta qui dai cristiani. Infine, l’importante - conclude il card. Mathieu - è affermare la presenza in modo trasparente, senza nascondere nulla di quello che siamo”.
22/01/2021 10:28