09/04/2008, 00.00
PAKISTAN
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Mons. Saldanha condanna l'uccisione di un indù, vittima della blasfemia

di Qaiser Felix
Il giovane indù Jagdeesh Kumar è stato ucciso dai suoi colleghi musulmani. Come per tante vittime cristiane, dietro le accuse di blasfemia, si nascondono persistenti violazioni dei diritti delle minoranza religiose.

Karachi (AsiaNews) – Condannato a morte dai suoi stessi colleghi, il 22 enne Jagdeesh Kumar è stato picchiato per quasi mezz’ora ieri dai musulmani della fabbrica di pelli in cui lavoravano. Con l’accusa di blasfemia gli operai hanno applicato in modo arbitrario la legge vigente nel Paese che prevede la pena di morte per atti profanatori e blasfemi contro l’Islam e il profeta Maometto.

L’uccisione è stata duramente condannata dall’arcivescovo di Lahore mons. Lawrence John Saldanha, presidente della Conferenza episcopale del Pakistan e della Commissione nazionale di giustizia e pace.  

“Le rettifiche apportate alla legge sulla blasfemia per evitarne l’abuso non hanno migliorato la vita della gente comune che è sempre vittima di persone guidate da emozioni e istinti e che si fanno interpreti della legge”,  ha detto mons. Saldanha aggiungendo: “Il governo dovrebbe prestare maggiore attenzione alle persistenti richieste della popolazione di abrogare la legge”.

L’arcivescovo ha poi affermato che uccidere una persona senza prove consistenti e un processo è un atto irresponsabile, e invita le autorità ad investigare sul caso. “Questi incedenti – continua mons. Saldanha – in cui la gente diventa esecutrice della legge e punisce illegittimamente i presunti colpevoli, sono scioccanti e demoralizzanti”. Mons. Saldanha ha aggiunto che questo caso deve diventare un test per il nuovo governo che dovrebbe assicurarsi che le leggi vengano applicate e che i cittadini siano considerati uguali secondo la giustizia”.

La polizia che è arrivata sul posto dopo l’incidente ha confermato che le affermazioni blasfeme di Jagdeesh hanno provocato i colleghi che hanno preso a malmenarlo fino a lasciarlo a terra senza vita. Le accuse di blasfemia non convincono la famiglia della vittima che crede che la religione non abbia nulla a che fare, e secondo loro si tratterebbe invece di vendetta personale.

Raju, cognato del giovane Jagdeesh, ha detto che il ragazzo “era un uomo semplice e sapeva poco di religione. Siamo venuti a Karachi per guadagnare qualcosa e non per prendere parte in dispute religiose. È facile uccidere un membro di una minoranza e accusarlo di blasfemia. Ecco perché vogliamo che vengano portate avanti le indagini”.

In Pakistan la blasfemia è punibile con la morte ma nessuno è mai stato ufficialmente condannato. Tuttavia quasi 30 persone sono rimaste vittime della giustizia sommaria e illegittima, anche quando in custodia della polizia, e i luoghi di culto delle minoranze religiose e le loro case sono spesso sotto attacco.

Gli indù sono una minoranza in Pakistan e costituiscono l’1,6% di una popolazione di 160 milioni di abitanti, di cui la stragrande maggioranza è musulmana. 

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