Morti in casa anche per 8 giorni: emergenza 'kodokushi' tra gli anziani soli giapponesi
Secondo l’Agenzia nazionale di polizia, nel primo semestre del 2025 sono stati oltre 40mila in Giappone i casi di morte isolata in casa. Il 28% viene scoperto dopo più di una settimana. Tra le cause: invecchiamento della popolazione, indebolimento dei legami, riluttanza a chiedere aiuto. P. Marco Villa, responsabile di un centro d’ascolto a Koshigaya: "Una persona mi ha appena detto: mi è rimasto un solo amico, ci sentiamo due volte all'anno... La solitudine il dramma più grande di questo Paese".
Roma (AsiaNews) - Kodokushi (孤独死): la morte in casa di persone circondate da una profonda aridità relazionale, che non viene scoperta anche per un lungo periodo di tempo dopo il decesso. È uno dei drammatici volti della solitudine in Giappone. Secondo i nuovi dati dell’Agenzia nazionale di polizia diffusi oggi, in Giappone solo nel primo semestre del 2025 sono stati 40.913 i decessi avvenuti in isolamento nelle abitazioni. Una cifra che segna un aumento di 3.686 casi rispetto allo stesso periodo del 2024. Ma il dettaglio forse più inquietante è che almeno il 28% di essi (11.669 persone) è stato scoperto dopo almeno 8 giorni.
Una delle principali cause è anzitutto l’invecchiamento della popolazione del Giappone: 1 persona su 4 ha più di 65 anni. “Inoltre, si tende sempre più a non avere legami significativi né con il territorio, né con la famiglia. La maggioranza della gente non vive nei luoghi dove è cresciuta, ma si trova a vivere dove c'è lavoro”, spiega ad AsiaNews dal Giappone p. Marco Villa, missionario del Pime che opera a Koshigaya, cittadina nella periferia nord di Tokyo, nella diocesi di Saitama. “Quindi, si fa più fatica a intrecciare relazioni significative con gente che non si conosce. Ciò accade anche perché avere relazioni a volte è davvero una cosa faticosa, allora si decide di non impegnarsi”.
P. Marco Villa nel 2012 ha favorito la nascita a Koshigaya del Centro d’Ascolto Mizu Ippai (“un bicchiere d’acqua”) - di cui è responsabile - proprio con l’obiettivo di sostenere le persone affette dalla solitudine, comprese le persone hikikomori, che soffrono di isolamento patologico ed estraniamento. Nel suo servizio non è raro che venga a conoscenza di casi di kodokushi, l’ultimo solo pochi mesi fa. “Una signora che frequenta il centro è rientrata a casa la sera, dopo un incontro. Dopo circa due settimane, il figlio mi ha chiamato dicendo che non aveva contatti con la mamma, chiedendo se l’avessi sentita. È andato a vedere se si trovava a casa, e l’ha trovata morta”, racconta p. Marco Villa.
Questo caso dimostra che anche le persone che riescono a curare dei legami, a uscire di casa, possono andare incontro a una morte isolata. “Vivendo da sola si è imbattuta in questi rischi”, dice Villa. Rischi che aumentano in quelle persone che, invece, vivono una solitudine più estrema, perché non hanno dei familiari vicini, o perché non hanno degli amici. P. Marco Villa racconta anche di una telefonata avuta poco prima di essere contattato oggi da AsiaNews. “Una persona mi ha detto che è morto un suo amico; ora gli rimane un amico solo, che sente due volte all’anno: una per gli auguri di compleanno e una per gli auguri di buon anno. È l’unico amico che ha: mi ha chiesto di passare del tempo insieme. Queste sono situazioni che incontro regolarmente”, aggiunge.
Oltre alla significativa quota di persone anziane in Giappone, favorisce il preoccupante fenomeno kodokushi anche “la ritrosia della persona giapponese a chiedere aiuto”. Villa spiega che, culturalmente, nel domandare è insita “la preoccupazione di dare fastidio agli altri, di non voler dare preoccupazioni a causa delle proprie difficoltà”. La tendenza rilevata è la gestione in totale autonomia dei problemi personali. Ciò affievolisce inevitabilmente i legami con le persone delle famiglia, così come con coloro che vivono nello stesso luogo. Un elemento che il missionario definisce “costante”, basandosi sulla sua esperienza in Giappone. “La solitudine è il dramma principale del Paese”, dice.
P. Marco Villa ammette di essere rimasto “sconvolto” dai casi di solitudine profonda incontrati nel Paese. Da questo sentimento nacque il Centro d’Ascolto Mizu Ippai di Koshigaya. “Chiesi al vescovo (della diocesi di Saitama, ndr) di poter iniziare un’attività a tempo pieno per cercare di alleviare la solitudine delle persone”. racconta. Il Centro mette in campo le risorse del “volontariato dell’ascolto”: non professionisti all’opera, ma volontari e volontarie che offrono il proprio ascolto, nella struttura, così come alla stazione ferroviaria, luogo di aggregazione per la presenza di numerosi negozi. Un’attività che affianca le iniziative istituzionali. “Lo Stato è consapevole di queste situazioni e cerca di essere sempre più capillare nel territorio attraverso struture dedicate, cercando di creare delle occasioni di incontro per la gente. Questo è un tentativo, secondo me valido, che il Giappone porta avanti”, spiega.
Come invertire la tendenza di questa drammatica e così diffusa esperienza umana? “La cosa fondamentale è creare delle occasioni di incontro, dei luoghi adatti per potersi trovare; fondamentalmente cercando di diventare amici delle persone che vivono in stato di solitudine”, dice p. Marco Villa. Solitudine che in alcuni casi viene “risolta” da lunghi dialoghi intrattenuti con l’intelligenza artificiale. “Ieri un ragazzo mi diceva che l'AI è l’unica persona che lo capisce, che riesce a capire i suoi problemi. Così crede di avere qualcuno, qualcosa con cui si relaziona, che però non è certamente un essere umano”, aggiunge. Per uscire da queste situazioni, ne è convinto il missionario, “basta poco: una via, una linea, un aggancio, capace di instaurare un minimo di relazione umana”.
27/01/2020 11:54
14/07/2018 09:00