07/05/2023, 11.20
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Myanmar, la vita ritrovata oltre la droga a Myitkyina

Il dilagare della produzione e del consumo di stupefacenti è il volto nascosto della crisi in cui è precipitato il Myanmar. Nel capoluogo dello Stato Kachin l'esperienza del Centro di riabilitazione promosso dalla diocesi insieme ai missionari irlandesi di San Colombano. Le storie di chi è riuscito a uscire dal tunnel e semina speranza.

Myitkyina (AsiaNews) - La coltivazione e l’uso della droga è uno dei volti nascosti della lunga crisi del Myanmar. E proprio il golpe militare avvenuto nel Paese nel 2021 e il conflitto aperto in cui il Paese è precipitato hanno fatto ulteriormente crescere la produzione di sostanze stupefacenti. Ma anche in questa situazione così difficile e dolorosa è possibile ritrovare segni di speranza. Lo racconta bene una storia condivisa sul sito internet della sua congregazione da p. Eamon Sheridan, sacerdote irlandese della Società Missionaria di San Colombano. È il racconto di un battesimo che si intreccia con la vita quotidiana del Centro di recupero per tossicodipendenti promosso dalla locale diocesi con il sostegno dell’istituto missionario irlandese a Myitkyina, il capoluogo dello Stato Kachin nell’est del Myanmar.

Fin dal 1936 i missionari di San Colombano operano in Myanmar: la diocesi stessa di Myitkyina ha avuto un missionario irlandese di questa congregazione, mons. John Howe, come suo primo vescovo. Poi però arrivarono le espulsioni dei missionari stranieri decretate a partire dagli anni Sessanta dal regime del generale Ne Win: gli ultimi tre missionari di San Colombano dovettero lasciare il Paese nel 1977. La loro impronta a Myitkyina non è però mai scomparsa: è rimasta, per esempio, nei nomi tipicamente irlandesi di Patrick o Columban ancora diffusissimi tra gli uomini della locale comunità cristiana.

Dalla fine degli anni Novanta sono potuti riprendere anche i contatti tra i missionari irlandesi e la diocesi, sfociati in una nuova presenza stabile a Myitkyina. E il Centro di recupero – nato nel 2015 – è un segno di questa amicizia che continua: nato per contrastare la dipendenza da droghe, da allora accoglie tutti quanti vogliono intraprendere un percorso di riabilitazione. Il centro è aperto a tutti, ma la maggior parte dei pazienti sono membri del gruppo etnico cristiano dei Kachin. E anche in questi due anni resi difficilissimi in Myanmar dal colpo di Stato sfociato in una deriva per tutto il Paese accompagnata in alcune aree da un conflitto sanguinosissimo tra l’esercito e le milizie locali, a Myitkyina si è proseguito ad ampliare questa struttura, con l’apertura l’anno scorso della sezione per le donne.

Proprio le storie di chi passa dal Centro sono un seme di speranza anche in tempi difficili. Nella sua testimonianza, per esempio, p. Sheridan racconta che nel 2017 in questo Centro aveva conosciuto un uomo di nome Patrick, dipendente cronico dall’eroina; una piaga molto diffusa nella zona, essendo quella di Myitkyina l’area in cui si concentra la maggiore produzione di questa sostanza stupefacente in tutto il Paese.

A causa della sua dipendenza, Patrick si era trovato più volte sull’orlo della morte, e in un’occasione aveva ricevuto addirittura l’estrema unzione. Sopravvissuto, ha deciso di dare una svolta alla sua vita: p. Sheridan lo ha così introdotto ai 12 passi dei Narcotici Anonimi, il programma proposto dal Centro di recupero. Ad oggi, Patrick è sobrio ormai da cinque anni. Insegna karate ai giovani del suo villaggio, dopo aver lui stesso ottenuto la cintura nera. «È passato dal non avere più speranze all’essere lui stesso portatore di speranza per i più giovani del Centro, dove ha il ruolo di consulente e sponsor per le altre persone ricoverate», racconta p. Sheridan.

L’uomo è oggi sposato e ha due figli; così l’anno scorso Patrick ha chiesto a p. Sheridan di battezzare il suo secondogenito. E come i suoi genitori avevano fatto con lui, anche a suo figlio ha dato il nome del missionario, Eamon Anthony, in segno di ringraziamento per l’aiuto ricevuto.

 

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