Myanmar al voto tra seggi vuoti e violenze: il disperato tentativo della giunta di legittimità
La prima fase delle elezioni dei militari è segnata da accuse di frodi, malfunzionamenti del voto elettronico e boicottaggio popolare. Il partitio USDP risultava vincitore prima dell’apertura delle urne. La gestione ha messo in luce il controllo limitato della giunta tra arresti, blackout di Internet e assenza di osservatori internazionali credibili.
Yangon (AsiaNews) - La prima fase delle elezioni generali del regime militare iniziate ieri è precipitata nel caos, mettendo in luce il controllo vacillante della giunta sul Myanmar e il rifiuto schiacciante da parte della popolazione di quello che gli osservatori internazionali hanno condannato come un processo democratico “farsa”. Il contrasto con le precedenti elezioni in Myanmar non potrebbe essere più netto. Nel 2015 e nel 2020, milioni di cittadini facevano la fila prima dell’alba, con le dita orgogliosamente macchiate di inchiostro viola, spinti dalla speranza di un futuro democratico.
Allora, l’entusiasmo degli elettori era straordinario e il mondo osservava il Myanmar abbracciare un vero cambiamento politico. Oggi, quei seggi elettorali sono rimasti vuoti. Nelle principali città, tra cui Yangon, Mandalay e Myitkyina, i residenti hanno inscenato una silenziosa sfida di massa semplicemente rimanendo a casa. “Non abbiamo alcun interesse per queste elezioni farsa”, ha dichiarato Zaw Maw, residente di Yangon. “Perché dovremmo partecipare a una menzogna che serve solo a mantenere il potere militare? Tutti sanno che il risultato è già deciso”, dice sottovoce.
I sospetti di frode elettorale sono stati confermati quasi immediatamente. Le urne per il voto anticipato aperte il 26 dicembre a Yangon contenevano esclusivamente voti a favore del Partito dell’Unione, della Solidarietà e dello Sviluppo (USDP), sostenuto dai militari. Un candidato dell’opposizione del Partito Popolare, irrimediabilmente frustrato, ha confermato che “tutti i voti erano solo per l’USDP; non c’era un solo voto per gli altri partiti”.
In serata, la BBC ha riferito che l’USDP aveva già “vinto” tutti i seggi a Naypyidaw, la capitale fortezza del regime, con una vittoria schiacciante che non ha fatto altro che rafforzare le accuse di manipolazione ancor prima ancora dell’apertura delle urne. Il partito più popolare del Paese, la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), è stato sciolto e gli è stato vietato di partecipare, mentre la sua leader, Aung San Suu Kyi, rimane in carcere.
Poi, il tentativo della giunta di modernizzare il sistema di voto con sistemi elettorali elettroniche (MEVM) è stato un clamoroso flop. A Sittwe, Stato di Rakhine, ancora la BBC ha documentato malfunzionamenti tecnici durante l’intera giornata. La situazione è peggiorata nelle regioni di Sagaing e Magway: alle 10 del mattino un blackout ha colpito Monywa, Shwebo e Pakokku, lasciando il personale elettorale a fissare schermi vuoti. Osservatori chiedono come sia stato possibile procedere al voto “elettronico” senza elettricità, sintomo del collasso delle infrastrutture sotto il regime militare.
Laddove la persuasione falliva, l’esercito è ricorso all’intimidazione e alla violenza. A Monywa, regione di Sagaing, il Mandalay Free Press ha riferito che poche ore prima dell’inizio delle votazioni, la giunta ha schierato due carri armati e sei veicoli blindati per pattugliare le strade. I soldati hanno fermato i gli automobilisti al cancello del negozio di riso Ye-U sull’autostrada Monywa-Mandalay, costringendoli fisicamente a votare sul posto.
In tutto il Paese, funzionari pubblici e residenti hanno subìto una coercizione sistematica. Gli amministratori, muniti di “elenchi delle famiglie”, hanno minacciato i cittadini di arresto o perdita del posto di lavoro se si fossero rifiutati di votare. Le autorità hanno imposto un rigoroso blackout digitale, interrompendo o limitando l’accesso a Internet in circa 80 comuni, per impedire la comunicazione della resistenza. Oltre 200 persone sono state arrestate nelle 48 ore precedenti il voto per critiche sui social media, in base alla nuova “Legge sulla protezione delle elezioni”.
La sicurezza è collassata violentemente in diverse regioni. Nello Stato Karen tre bombe sono esplose nei pressi dell’ufficio dell’USDP e dell’ufficio amministrativo del quartiere. La gravità degli attacchi potrebbe costringere all’annullamento delle elezioni. Nello Stato Kachin le esplosioni hanno causato una vittima. Altre esplosioni hanno preso di mira le stazioni di polizia a Tanintharyi e Bago, e i seggi elettorali a Dawei e Pyay. A Yangon e Ayeyarwady i mercati sono stati chiusi e i civili hanno rischiato l’arresto.
La crisi territorialmente diffusa della giunta è diventata innegabile. Appena 12 ore prima dell’apertura dei seggi, la Commissione elettorale dell’Unione ha annullato le votazioni in altri nove comuni, portando il totale a 65 su 330 a livello nazionale, oltre a 3mila villaggi. Esperti militari stimano che la giunta mantenga un controllo stabile solo sul 20-25% del territorio. Un indicatore critico è rappresentato dai 61 comuni sottoposti alla legge marziale ufficiale: “zone nere” in cui i comandanti militari hanno sostituito gli amministratori civili per la resistenza delle Forze di difesa popolare (PDF) e delle Organizzazioni armate etniche (EAO).
Per gestire le forze, il regime ha progettato le elezioni in tre fasi, consentendo la rotazione delle truppe a guardia dei seggi elettorali. I rapporti dei gruppi per i diritti umani indicano un aumento del 30% dei raid aerei e degli attacchi con droni contro le “zone grigie” nelle settimane precedenti le votazioni, al fine di reprimere la resistenza.
La legittimità delle elezioni è stata compromessa anche dall’assenza di un controllo internazionale credibile. Nel 2015 e nel 2020, organismi internazionali prestigiosi come Global Election Watch, Carter Center e Unione Europea hanno inviato centinaia di osservatori. Quest’anno solo sei Paesi hanno inviato rappresentanti: Cina, India, Russia, Bielorussia, Vietnam e Cambogia, tutti considerati parziali alleati della giunta militare. Le nazioni d’Occidente, l’Onu e i gruppi per i diritti umani hanno condannato il processo illegittimo. Il Governo di Unità Nazionale (NUG) e i gruppi di resistenza hanno esortato al boicottaggio.
Ad aggravare il caos si aggiunge una controversia fondamentale sulle liste elettorali. In precedenza, le liste venivano pubblicate con tre mesi di anticipo, per consentire la verifica da parte del pubblico. Per queste elezioni, la Commissione elettorale dell’Unione ha pubblicato le liste sei settimane prima e i critici sottolineano che non si basano su dati censuari reali, non tenendo conto dei milioni di sfollati a causa del conflitto, o di coloro che sono fuggiti dal Paese dopo il colpo di Stato del 2021. “La lista è una lista fantasma”, ha detto un osservatore locale che ha chiesto di rimanere anonimo. “Ignora la realtà di una popolazione in crisi”.
In conclusione, i risultati preliminari di questa prima fase sono attesi a breve, ma l’esito finale a livello nazionale non sarà noto fino alla fine di gennaio. La seconda e la terza fase sono previste per l’11 e il 25 gennaio 2026. Gli analisti avvertono che la violenza potrebbe intensificarsi man mano che le votazioni si spostano verso regioni di confine più contese. Il tentativo della giunta di fabbricare una legittimità democratica ha rivelato la profondità del suo isolamento. Mentre una giornata elettorale volgeva al termine, con seggi elettorali vuoti e l’eco delle in cessanti esplosioni, il messaggio del popolo birmano ai suoi governanti militari era inequivocabile: questa farsa non reggerà.




