08/04/2023, 11.06
MYANMAR
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Nel Myanmar ferito la Pasqua fa (ri)nascere le comunità cristiane

di Alessandra De Poli

Negli ultimi mesi la violenza del conflitto civile è andata fuori ogni controllo. Gli sfollati, la cui condizione ormai è permanente, hanno perso tutto: lavoro, beni materiali, amicizie. Ma è proprio tra le macerie della disperazione che è risorta una piccola comunità cristiana.

Loikaw (AsiaNews) - Gli sfollati del Myanmar - ricordato ieri sera nella via Crucis al Colosseo tra i luoghi più sfigurati dalla "guerra mondiale a pezzi" che imperversa nel mondo di oggi - celebreranno la Pasqua tra le macerie del conflitto civile, lontani da casa, in molti casi senza famiglia e amici, e spesso a corto di cibo e medicinali. Eppure è proprio nella disperazione di aver perso tutto - non solo i propri beni materiali, ma anche le proprie origini e la propria storia - che si vedono germogliare i semi della vita che rinasce. Tra i profughi cristiani nei pressi di Taunggyi, capoluogo dello Stato orientale Shan - la cui situazione ormai non è più di emergenza ma è una condizione permanente - sono nate nuove comunità che per la prima volta quest’anno, a più di due anni dal colpo di Stato che ha portato alla guerra, celebreranno la Pasqua insieme, mentre tutt’intorno imperversano il caos e la violenza.

L’esercito - che a febbraio 2021 ha condotto un colpo di Stato estromettendo il precedente governo guidato da Aung San Suu Kyi e il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (NLD) -, ha concentrato i bombardamenti contro i rifugiati nelle foreste per costringerli a spostarsi in città, dove, rispetto alla giunga, per le truppe del regime è più facile rispondere alle azioni di guerriglia. Per gli stessi motivi i militari stanno chiudendo anche i campi profughi formali in varie parti del Paese. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni unite sulla situazione umanitaria, alla fine del mese scorso si contavano oltre 1,8 milioni di sfollati, radunatisi soprattutto nelle aree nel nord-ovest del Paese dove si sono intensificati gli scontri negli ultimi mesi.

La città di Thantlang, nello Stato Chin, al confine con l’India è stata rasa al suolo e ridotta allo stato di città fantasma. Il Chin National Front, una delle milizie etniche locali che combattono contro l’esercito, sostiene che dal golpe siano stati lanciati 140 attacchi aerei sulla città e sui villaggi circostanti. Non va meglio sulla frontiera opposta, al confine con la Thailandia: solo ieri più di 1.000 persone hanno varcato il confine per sfuggire ai combattimenti tra l’esercito e il Karen National Liberation Army, un’altra milizia etnica. Nel distretto thailandese di Mae Sot il numero di rifugiati (soprattutto donne, bambini e anziani) è così salito a 8mila in un giorno.

Non solo ci sono fronti aperti in più parti del Myanmar: le fonti di AsiaNews spiegano che le divisioni stanno cominciando a nascere anche all’interno delle fazioni in combattimento, generando un’escalation di violenza senza precedenti. A metà marzo si era diffusa la notizia di un massacro di civili e monaci buddhisti all’interno di un monastero nel villaggio di Nan Naint, compiuto da una milizia pro-regime di etnia Pa-O, il Pa-O National Army, chiamati in birmano i “cani di Min Aung Hlaing”, il generale a capo dell’esercito.

“È stato un evento sconvolgente perché per la prima volta i combattenti hanno ucciso civili provenienti dalla loro stessa etnia”, sottolineano le nostre fonti. “E il bagno di sangue è avvenuto la sera prima di un’importante cerimonia locale in cui i bambini vengono vestiti da piccoli monaci”. Una carneficina emblema del frazionamento che sta avvenendo anche tra i ranghi dell’esercito. In alcune parti della regione del Sagaing vige l’anarchia totale: la famigerata “colonna Ogre”, per esempio, composta da battaglioni di fanteria, da fine febbraio ha condotto in maniera indipendente una serie di raid contro le roccaforti della resistenza nella regione centrale del Sagaing, massacrando i civili e stuprando le donne prima di ucciderle.

Anche le Forze di difesa del popolo (PDF), le milizie sorte spontaneamente dopo il golpe e formate da combattenti provenienti dall’etnia maggioritaria Bamar, si stanno sfaldando, mosse dalla delusione e dalla rabbia verso il Governo di unità nazionale in esilio, composto invece da ex deputati della NLD. “‘Abbiamo lasciato tutto, la casa, il lavoro, gli affetti, per che cosa?’, si chiedono i profughi che facevano parte del Movimento di disobbedienza civile”, l’associazione di coloro che subito dopo il golpe erano scesi in piazza a protestare pacificamente. Si tratta di persone che unendosi alle manifestazioni hanno messo in pericolo loro stessi ma anche i loro cari: inseriti tra le liste di ricercati, non possono lavorare o mandare i figli a scuola. Molti minorenni finiscono così per diventare bambini soldato: raccolti in strada dalle milizie o costretti dall’esercito, si uniscono alla guerra e poi si ritrovano tra gli sfollati. “Sono persone sradicate. I bisogni materiali sono urgenti ma sono anche facilmente risolvibili portando medicine e cibo”, continuano le fonti di AsiaNews. “Ricostruire il tessuto sociale invece è difficile perché richiede più tempo. Tutti hanno perso amicizie e relazioni e c’è grande diffidenza a causa della possibile presenza di informatori”. Ricominciare è complicato per i giovani, ma anche per chi ha superato i 40 o i 50 anni. “Anzi, forse per loro è più difficile, perché si trovano a dover ricostruire tutto dopo aver già vissuto metà della loro vita”.

Eppure anche tra questi gruppi di sfollati sradicati e traumatizzati si celebrerà la Pasqua, dopo che alcune comunità si sono spontaneamente unite tra di loro. “Non è stato fatto niente di particolare. È bastata la vicinanza gli uni degli altri tra cristiani per vedere rifiorire i rapporti umani”.

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