In Cisgiordania, la sopravvivenza dei beduini minacciata dal piano E1
Nelle colline a est di Gerusalemme, l'espansione degli insediamenti israeliani sta trasformando la vita quotidiana delle comunità beduine che, costrette ad abbandonare il nomadismo e a difendersi dagli attacchi dei coloni, continuano a lottare per la loro sussitenza. Tutt'intorno la costruzione delle infrastrutture legate al piano E1 rende sempre più impossibile la creazione di un futuro Stato palestinese.
Gerusalemme (AsiaNews) – Quella strada un mese fa non c'era. E quella rotonda? L’hanno costruita negli ultimi giorni. Osservando le colline a est di Gerusalemme si nota come il paesaggio si stia trasformando a vista d’occhio. Sono i segni della continua espansione degli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata. I coloni arrivano e mettono per prima cosa una bandiera israeliana. Poi di solito appare una roulotte e dopo cominciano le prime costruzioni.
Gli insediamenti sono considerati illegali dal diritto internazionale e sorgono nelle aree in cui vivono le tribù beduine. Costrette a rinunciare al nomadismo, oggi vivono perlopiù in baracche costruite in lamiera, oppure in stanze fatte di pannelli di legno e tetti composti da teli di plastica. Da tempo vedono ridursi le loro mandrie perché spesso i coloni comprano un capo di bestiame, lo inseriscono tra le mandrie dei beduini e fanno una foto. Poi vanno dalla polizia israeliana sostenendo che il bestiame sia loro e così rubano ai beduini i pochi mezzi di sussistenza rimasti.
Diversi gruppi di attivisti, coordinati da associazioni israeliane come “Rabbi for Human Rights” e “Jordan Valley Activists”, lavorano in queste aree nel tentativo di proteggere i pastori e le famiglie palestinesi dagli attacchi dei coloni, in particolare nella regione chiamata E1 (East 1), quella dove il governo israeliano ha di recente deciso l’espansione dell’insediamento di Ma’ale Adumim, separando in due la West Bank e isolando Gerusalemme Est dai territori palestinesi. Il completamento del piano E1, risalente agli anni '90 e poi congelato a causa delle pressioni internazionali, renderebbe di fatto impossibile la creazione di uno Stato palestinese contiguo nei territori occupati. Lo ha sottolineato lo stesso ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, quando ha annunciato l’approvazione della costruzione di 3mila nuove abitazioni: “L’E1 seppellisce l’idea di uno Stato palestinese e prosegue le numerose iniziative che stiamo intraprendendo sul campo nell'ambito del piano di sovranità di fatto che abbiamo iniziato ad attuare con l’istituzione del governo”. Sia per i critici sia per i sostenitori del progetto, il passo successivo non potrà che essere l’annessione della Cisgiordania, che la Knesset, il Parlamento israeliano, nelle scorse settimane ha già approvato con una mozione non vincolante.
Nel mezzo di questo scontro ci sono i beduini, comunità mai riconosciute nonostante vivano in queste zone desertiche da sempre e in forza di questo considerate "abusive". Nonostante la drammatica situazione politica, i più piccoli hanno la possibilità di giocare, imparare l’inglese e fare merenda in strutture prive di arredi all’interno, ma che all’esterno riportano i loghi delle varie agenzie di cooperazione europee.
Le famiglie beduine hanno rifiutato gli aiuti medici nonostante la diffusione di malattie genetiche conseguenza della pratica tradizionale di sposarsi tra cugini. Hanno però chiesto la possibilità di avere delle scuole per i loro figli. I bambini infatti erano soliti percorrere la strada che porta a Gerico per andare a scuola, che ora è diventata troppo pericolosa a causa del numero crescente di insediamenti. I ragazzi più grandi frequentavano la scuola di gomme, una scuola per beduini costruita nel 2009 dall’ong milanese “Vento di Terra” con oltre 2mila copertoni. La presenza dei coloni lungo il tragitto terrorizza i bambini, così le famiglie hanno chiesto aiuto alle autorità palestinesi. Adesso per andare a lezione ci vogliono 40 minuti di autobus, rispetto ai cinque minuti che ci mettevano prima a piedi. Gli insediamenti sono sempre più spesso circondati da filo spinato e telecamere, diventando anche un luogo in cui sperimentare le ultime tecnologie per il riconoscimento facciale.
Nelle settimane di agosto, prima della ripresa delle lezioni, bambini di tutte le età si ritrovano per giocare, spesso includendo giochi d’acqua per far fronte alle alte temperature, che superano anche i 40 gradi. Ma prima di lanciare i gavettoni ai bambini piace farsi dipingere la faccia. Uno degli alunni ha chiesto “A me disegni una bandiera palestinese? Perché io sono palestinese”.
Le nuove generazioni di israeliani e palestinesi, cresciute in un clima di guerra, ci tengono a rimarcare le divisioni. Se le giovani ragazze israeliane indossano collane che riportano la sagoma della Palestina che incrocia la Stella di David, tra le ragazze beduine va di moda quella che riporta gli stessi confini, ma affiancata da un fucile. Anche ai visitatori, dopo aver chiesto la provenienza, i bambini più piccoli non chiedono il nome, ma la preferenza politica: “Ami la Palestina? Ami Israele?”. Su un sasso colorato, un bambino beduino, rifiutando questa logica, ha scritto in arabo “hurriya as-salam” che significa “libertà di pace”.
Mentre i bambini giocano, nelle colline tutt’intorno agli asili beduini si vedono continuamente passare betoniere, gru e bulldozer. Prima della guerra del 7 ottobre negli insediamenti israeliani lavoravano diversi palestinesi. Adesso non più. Gli uomini sono quindi spesso a casa senza lavoro, oppure sono costretti a lavorare nelle piantagioni realizzate dai coloni di fronte agli insediamenti. Ma sono soprattutto le donne a provvedere alla famiglia. Realizzano ricami, saponi e candele mentre i figli dormono. Alcune di loro vorrebbero istituire una cooperativa, ma non si sa se sarà possibile. Le famiglie beduine, sempre più circondate e oppresse da nuovi insediamenti, non sanno dove andranno quando ad un certo punto saranno costrette ad abbandonare le misere baracche dove vivono ora. Però sperano di riuscire a continuare a mantenersi anche quando se ne andranno.
Le mogli hanno chiesto di fare qualcosa affinché anche i loro mariti possano tornare a lavorare. Molti di loro sono a casa da quasi due anni perché dopo il 7 ottobre tutti i lavoratori palestinesi che lavoravano a contatto con realtà israeliane sono stati licenziati. Alcuni di loro hanno seguito un corso di ebraico in modo da poter mantenere un lavoro all’interno degli insediamenti, ma anche per tutelarsi dalle autorità israeliane, che spesso si presentano con documenti che le famiglie beduine non sono in grado di leggere, in modo da poter prendere il possesso della terra anche tramite sotterfugi legali. I tribunali spesso chiedono i certificati di proprietà della terra, ma i beduini, gli ultimi anche all’interno della società palestinese, non li hanno mai posseduti. Spesso dicono che la terra è stata donata agli uomini da Dio, e quindi non può essere di proprietà di nessuno.
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