24/08/2006, 00.00
CINA - AFRICA
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Operai africani in crisi a causa dell'invasione cinese

Le merci cinesi nei mercati africani distruggono la produzione locale. Pechino finanzia progetti pubblici, ma pretende che siano affidati a sue ditte che usano materiali e personale cinese: 4 milioni di lavoratori cinesi nella sola Angola.

Pechino (AsiaNews/Scmp) – La Cina in Africa non cerca solo materie prime, ma espande la sua influenza politica ed economica, domina i mercati con le sue merci, esporta il suo stile di vita. Sempre più spesso lavoratori e commercianti locali protestano contro questa "invasione".

Dal 2000 al 2005 gli scambi commerciali tra Cina e Africa sono cresciuti del 300% e superano i 40 miliardi di dollari Usa annui. Pechino ha anzitutto cercato petrolio e altre materie prime: metalli e minerali ma anche legna. Ma ha anche fatto investimenti, finanziato strade e altre opere pubbliche e raffinerie, in genere pretendendo che le opere fossero appaltate a ditte cinesi. Le ditte cinesi, poi, spesso portano anche materie prime (come il cemento) e mano d'opera, servendosi dei lavoratori locali soprattutto per la manovalanza non qualificata. Molti lavoratori africani vedono ormai con paura l'arrivo dei cinesi, temendo che possano minacciare il loro già misero tenore di vita. Per queste ragioni, nello Zambia i lavoratori hanno manifestato contro i cinesi.

In Angola, dove la gran parte della popolazione vive in estrema povertà, il premier Fernando dos Santos a luglio è stato accusato di avere autorizzato l'immigrazione di 4 milioni di lavoratori cinesi. "I cinesi vengono in Angola all'interno di progetti precisi e al loro termine torneranno nel loro Paese", ha risposto, senza negare il dato. Nel Sudafrica i sindacati dei lavoratori, timorosi di perdere posti di lavoro specie nel settore tessile e dell'abbigliamento, chiedono al governo di rinegoziare gli accordi commerciali con la Cina, ritenuti troppo vantaggiosi per Pechino. Nel 2005 le importazioni nel Paese dalla Cina sono state pari a 31 miliardi di rand (4,4 miliardi di dollari), rispetto a circa 8 miliardi di rand di esportazioni. Steven Friedman, studioso del Centro per gli studi politici a Johannesburg, ritiene che la Cina in Africa non cerca soltanto materie prime, ma è "una superpotenza" che vuole espandere la sua zona di influenza economica e politica.

La concorrenza degli economici prodotti cinesi ha impoverito le economie di molti Stati africani, le cui merci (per esempio nel tessile) non possono competerci sui mercati occidentali, ma spesso anche in quello nazionale: le manifatture cinesi invadono molti Stati. Ma sempre più spesso risultano di qualità scadente. In Nigeria ditte cinesi sono state accusate di introdurre merci di qualità scadente e mere contraffazioni di altre marche: nel dicembre 2005 nella capitale Lagos i funzionari nigeriani hanno chiuso diversi centri commerciali di ditte cinesi.

Pechino, poi, non nega collaborazione e aiuto ai governi più repressivi del Continente. Gli Stati occidentali, invece, spesso subordinano gli scambi economici al rispetto dei diritti politici e alla concessione di riforme sociali. La Cina è il primo esportatore di petrolio dall'Angola, il cui governo è ritenuto tra i più corrotti. E' anche un grande acquirente del petrolio del Sudan, al quale ha fornito un importante aiuto politico presso le Nazioni Unite, prospettando di esercitare il veto per impedire una dura risoluzione di condanna per il genocidio nel Darfur.

Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, è isolato dai governi occidentali che chiedono maggior rispetto per i diritti umani e la creazione di uno Stato di diritto. Per questo la sua politica "guarda a Oriente". Pechino gli ha venduto merci e armi, ma non solo. L'editore Trevor Ncube racconta che nel Paese non solo le merci ma anche lo stile di vita è sempre più made-in-China: merci cinesi nei negozi, autobus cinesi nelle strade, aeroplani costruiti in Cina nel cielo, le ditte cinesi hanno i maggiori capitali in miniere e nella telecomunicazione. "Loro [i cinesi] sono ovunque", racconta, per le strade, negli autoveicoli, nelle scuole d'elite dove portano i figli. "Se i britannici sono stati i nostri maestri ieri, i cinesi sono venuti e hanno preso possesso".

John Robertson, economista di Harare, teme che lo Zimbabwe non possa più fare a meno dell'aiuto cinese. "Temo – spiega – che lo Zimbabwe diventi così debole che, a un certo punto, la Cina possa dire: Ti aiutiamo. Ma, in cambio, non dobbiamo solo restituire i prestiti, ma anche comprare i suoi prodotti. Diventeremmo lo strumento per far sparire le industrie tessile, di abbigliamento e di scarpe nell'intera Africa meridionale, mercato che sarà dei cinesi". (PB)

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