15/01/2018, 13.19
THAILANDIA
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P. Bolgan: i tribali, conquistati da Dio ‘Creatore e Padre’

Le numerose conversioni tra le popolazioni del nord alimentano la giovane Chiesa thailandese. Rispetto ai thai, esse manifestano una maggior apertura all'annuncio del Vangelo. Lingua e territorio rendono difficile il lavoro pastorale dei missionari.

Fang (AsiaNews) – P. Massimo Bolgan (foto), 50 anni, è un sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) missionario in Thailandia. Dallo scorso 6 gennaio, egli è il parroco di Fang, una cittadina situata nell’estremo nord del Paese, sul confine con il Myanmar. P. Bolgan svolge il proprio servizio tra le tribù appartenenti a diverse minoranze etniche, che vivono in un contesto di povertà e isolamento, sia sociale che geografico. La missione del Pime ospita due ostelli, uno a Fang e l’altro a Ban Thoet Thai, destinati all’accoglienza di oltre 100 ragazzi appartenenti a famiglie povere per garantire la loro istruzione. A causa della vastità del territorio (vi sono oltre 100 chilometri di distanza tra i due centri), su richiesta di p. Bolgan e del confratello p. Marco Ribolini (ora parroco a Ban Thoet Thai), sono state istituite due parrocchie distinte. Durante la solennità dell’Epifania, festa parrocchiale a Fang, il vescovo di Chiang Mai ha celebrato la funzione che ha reso ufficiale la divisione della missione. Intervistato da AsiaNews, p. Bolgan racconta la sua esperienza in una Chiesa di frontiera, animata dalle conversioni dei popoli tribali.

Le minoranze tribali del nord della Thailandia, le cosiddette tribù dei monti, manifestano una maggior apertura all'annuncio del Vangelo poiché conquistate dall’idea di un Dio ‘Creatore e Padre’. P. Massimo Bolgan spiega il cammino di conversione delle cosiddette “tribù dei monti”: “La cultura thailandese è invece profondamente radicata nella tradizione buddista, ragion per cui è difficile per un missionario straniero fare breccia nei cuori della popolazione locale, nonostante i sacerdoti ricevano sempre un’ottima accoglienza – racconta p. Bolgan – Anche se le scuole cattoliche sono frequentate da una maggioranza di studenti buddisti, le conversioni al cristianesimo tra i thailandesi non sono molto frequenti. Nel nord del Paese la realtà è tuttavia un’altra. Le minoranze tribali del Nord, le cosiddette tribù dei monti, manifestano una maggior apertura all'annuncio del Vangelo. Esse si sono trasferite in questa regione dai Paesi confinanti, ovvero Myanmar, Cina e Laos. Questi popoli non hanno una forte identità nazionale, non possiedono documenti o cittadinanza thai e conoscono solo i propri dialetti. La situazione politica ed economica dei rispettivi Paesi di origine, ha spinto queste genti nomadi a trasferirsi in Thailandia, dove hanno trovato una maggiore tranquillità ma anche difficoltà ad inserirsi in un contesto socio-economico più sviluppato. Il nord è una regione montuosa, ambiente differente e distante dalle pianure dove i thai sono soliti stabilirsi per coltivare riso. Da un punto di vista religioso, questi popoli sono legati al culto degli spiriti, che non richiede testi sacri. Sono stati i primi missionari cristiani a metter per iscritto le loro lingue, utilizzando l’alfabeto latino. Il primo ad iniziare l’attività con questi popoli è stato, per noi del Pime, p. Giovanni Zimbaldi”.

Padre Giovanni Zimbaldi, 88 anni, è il decano dei missionari del Pime in Thailandia ed è presente in Asia dal 1958. Egli ha vissuto sulle montagne e nelle foreste della Birmania orientale, fino al 1966, quando i militari hanno instaurato la dittatura ed espulso tutti i missionari più giovani. Nel 1972 è con due confratelli nel nord della Thailandia, a Chiang Mai, per fondare la missione del Pime nel Paese. L’anno seguente p. Zimbaldi si trasferisce a Fang, 150 chilometri a Nord di Chiang Mai e sul confine con la Birmania [oggi Myanmar, ndr], dove sorge una missione francese abbandonata da anni. Vi giunge per curare i tribali Lahu e gli Akhà che fuggivano dalla Birmania, popoli con cui egli aveva già lavorato in passato e dei quali conosceva bene la lingua. P. Zimbaldi traduce in lahu il catechismo della Chiesa cattolica, testi religiosi, preghiere e canti sacri.

“Alcuni dei tribali che arrivavano in Thailandia – prosegue p. Bolgan – avevano già sentito parlare di p. Giovanni, per questo lo chiamavano nei villaggi e lo accoglievano con gioia. Egli ha costruito la missione ed ora nel raggio di 25 chilometri da Fang vi sono 22 villaggi. Più a nord, a Ban Thoet Thai, dove p. Giovanni ha aperto un altro centro, ve ne sono 25. Anche Mae Suay, altra missione del Pime, è cresciuta negli anni”.

La vita pastorale di un sacerdote nel nord del Paese richiede molte energie. Ciò è in parte dovuto al fatto che queste sono regioni remote e difficilmente accessibili. Inoltre, i popoli che vi risiedono utilizzano lingue e dialetti che i missionari spesso non parlano, rendendo ardua la comunicazione con i fedeli. “Il territorio della parrocchia è molto vasto e impervio – racconta il sacerdote – Ciò nonostante, cerco di raggiungere tutti i 1.600 fedeli, visitando ciascun villaggio una volta ogni due mesi. La nostra attività è resa difficile dal fatto che noi missionari non parliamo le lingue tribali, ma siamo accompagnati nel lavoro quotidiano da cattolici e catechisti che svolgono il ruolo di interpreti. Ogni comunità è autonoma, anche se a volte necessita di un nostro sostegno, soprattutto economico. Rispetto a qualche anno fa però, la situazione nei villaggi è migliorata. Seppur giovane, la fede dei tribali è molto legata ai sacramenti, alla preghiera e alle funzioni religiose. Per questo, i cattolici sentono il bisogno della nostra presenza come sacerdoti e pian piano si liberano della paura che la precedente credenza religiosa infondeva in loro. Tuttavia, a causa delle diffuse difficoltà economiche che spingono la gente a trasferirsi nelle grandi città, è faticoso per noi garantire ad ogni villaggio la presenza di catechisti. Anche i ragazzi che ospitiamo nei nostri ostelli, finita la scuola spesso vanno altrove e non fanno ritorno alle comunità d’origine. Tuttavia, è fondamentale che questi ragazzi ricevano un’educazione cristiana, che li porti essere in futuro dei leader per i cattolici”.

Le numerose conversioni tra le popolazioni del nord alimentano la giovane Chiesa thailandese e costituiscono un cambiamento radicale nella vita dei tribali. “Sono diversi i motivi che spingono queste tribù a cercare il contatto con i missionari. Uno di questi è l’educazione dei bambini, che i villaggi da soli non possono garantire per mancanza di strutture. L’unico modo che i tribali avevano per far sì che i giovani studiassero era affidarli agli ostelli gestiti da p. Giovanni a Fang e Mae Suay. Altro aspetto è il desiderio di queste popolazioni di liberarsi dall'influenza e dalla paura degli spiriti. Il confronto con villaggi che già avevano conosciuto i missionari ed i benefici, anche economici, che le comunità vicine hanno tratto dall’abbandono delle credenze tradizionali, spinge i tribali ad avvicinarsi ai sacerdoti. Una volta accolti nelle capanne, questi rimuovevano gli idoli e gli oggetti sacri, prima di iniziare un percorso di conversione che inizia con l’insegnamento delle preghiere ed i sacramenti”.

 “Vivendo un forte legame con la natura, i tribali vengono attratti dall’idea di un Dio Creatore che è propria del cristianesimo. L’immagine di un Dio che è anche Padre, che ama l’uomo è poi un altro aspetto che li colpisce molto, che conquista il loro cuore”.

La conversione alla nuova fede infonde nei tribali, che subiscono il pregiudizio di gran parte del popolo thai, la gioia di appartenere ad una famiglia più grande: la Chiesa universale. “Nei villaggi cattolici, parlando di Chiesa, noi missionari facciamo riferimento a qualcosa che supera i confini delle comunità e delle nazioni. Guardando le immagini del papa e dei cristiani di tutto il mondo, i tribali si sentono fieri di far parte della famiglia cattolica. In questa zona vi sono tanti protestanti, missionari provenienti dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud, ma la differenza si avverte perché essi sono un po' chiusi all’interno delle loro comunità, mentre i cattolici abbracciano il mondo”, conclude p. Bolgan.

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