10/05/2025, 08.44
MONDO RUSSO
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Papa Leone e la Russia

di Stefano Caprio

Prevost non ha mai avuto rapporti diretti con Mosca, ma il nome da lui scelto evoca relazioni molto importanti per la storia delle relazioni tra Oriente e Occidente nella Chiesa antica e moderna. Da Leone Magno fino a Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, che tra le ue fonti di ispirazione ebbe anche il grande autore russo Vladimir Solov’ev.

Il cardinale Robert Francis Prevost, nato a Chicago nel 1955, è diventato il nuovo papa Leone XIV, attirando l’attenzione del mondo intero e mettendo in ombra le celebrazioni della Vittoria sulla piazza Rossa di Mosca, nell’80° anniversario della fine della seconda guerra mondiale. La sua elezione ha sorpreso il mondo intero, non essendo stato indicato tra i principali candidati del Sacro Collegio dei cardinali, e scegliendo un nome che non ricorreva da oltre un secolo, pur essendo uno dei più gloriosi titoli papali della storia.

Papa Leone XIV non ha mai avuto rapporti diretti con la Russia, avendo speso molti anni della sua missione sacerdotale ed episcopale in Perù e negli Stati Uniti, prima di arrivare in Vaticano come prefetto del Dicastero per i vescovi, una delle strutture più importanti e delicate della Santa Sede. Eppure il nome da lui scelto evoca relazioni molto importanti per la storia delle relazioni tra Oriente e Occidente nella Chiesa antica e moderna, e non a caso così tanti papi hanno scelto questo titolo, ricordando il grande Leone Magno, che nella metà del V secolo seppe interrompere l’invasione dei barbari nell’impero romano d’Occidente, profeta della pace che ancora oggi si attende nei territori dell’Europa e del mondo.

Il richiamo al primo papa Leone, grande protagonista della storia della Chiesa in tempi molto turbolenti, è senz’altro una prima indicazione del pontificato del nuovo papa Prevost, nel tentativo di riconciliare i popoli delle diverse latitudini come avvenne nella fine del mondo antico, proprio prima dell’inizio del Medioevo. Leone Magno scriveva a tutti i grandi del suo secolo per trovare vie di pace non solo nei conflitti armati e negli scontri di civiltà, ma anche nelle contese ecclesiastiche sulle formulazioni della fede, soprattutto nel suo Tomus ad Flavianum, la lettera al patriarca di Costantinopoli che aveva scomunicato gli eretici monofisiti, che non credevano nella natura umana di Gesù Cristo. Il testo papale riuscì a trovare la giusta mediazione tra le teorie dogmatiche contrapposte, che coinvolgevano anche l’imperatore Teodosio II, fino a determinare le conclusioni del concilio di Calcedonia del 451, quello che impose il termine “ortodossia” per chi accettava le definizioni della fede sull’unione della natura umana e divina di Cristo. Fu allora approvato definitivamente il Simbolo della fede nel testo Niceno-Costantinopolitano, che professano sia i cattolici che gli ortodossi (aldilà della questione bizantina del Filioque) e unisce le varianti della teologia cristiana di Alessandria e di Antiochia, le antiche polarizzazioni dell’Occidente ellenistico (poi diventato l’Oriente ortodosso) e dell’Oriente siriaco, sviluppato poi principalmente nell’Occidente latino.

Anche Leone XIV vuole quindi riconciliare le diverse anime del cristianesimo antico e moderno, in cui le latitudini si scambiano e le influenze s’intrecciano nella confessione dell’unica fede. Tutti i “papi Leone” della storia hanno avuto questo obiettivo nella loro missione, come Leone II che confermò la fede cattolica e ortodossa del III Concilio di Costantinopoli del 680, Leone III che incoronò Carlo Magno come imperatore del Sacro Romano Impero, Leone IV che fortificò Roma costruendo le Mura Leonine per difendersi dai Saraceni, Leone IX che cercò di unire Roma e Bisanzio, che nel 1054 si divisero tra ortodossi e cattolici, pochi giorni dopo la sua morte. Uno dei papi più famosi fu Leone X, Giovanni di Lorenzo de’ Medici, ricordato per il suo mecenatismo delle arti e le controversie con Martin Lutero, fino a Leone XIII, l’ultimo della storia papale con questo nome, confinato in Vaticano dopo la presa di Roma del 1870, noto per la sua enciclica Rerum Novarum che affrontava la questione sociale e i diritti dei lavoratori, uno dei papi con il più lungo pontificato (1878-1903), come potrebbe essere quello del suo successore e omonimo americano, il più “giovane” dai tempi di Giovanni Paolo II.

La prima indicazione del titolo papale riguarda quindi la stessa concezione della “ortodossia”, che risale ai tempi in cui la vera fede si associa alla universalità della Chiesa “cattolica”. Secondo le dottrine dei primi concili, in cui Leone Magno fu l’unico papa ad avere un’influenza decisiva, non si può essere veramente ortodossi senza essere allo stesso tempo autenticamente cattolici, professando una fede unitaria e universale, al netto delle strumentali polemiche successive sui dettagli delle formulazioni. Su questa base, papa Prevost potrà cercare di mantenere e sviluppare i buoni rapporti con il patriarcato di Mosca e con la Russia di Putin, che si è congratulato per la sua elezione affermando di essere “fiducioso che il dialogo costruttivo e l’interazione instaurati tra Russia e Vaticano continueranno a svilupparsi sulla base dei valori cristiani che ci uniscono”.

L’ispirazione più recente, quella probabilmente decisiva per la scelta del nome, è quella di papa Pecci, che si aprì alle sfide della modernità ritenendo che fra i compiti della Chiesa rientrasse anche l’attività pastorale in campo sociopolitico. Leone XIII è ricordato come il “papa delle encicliche”: ne scrisse ben 86, con lo scopo di superare l’isolamento nel quale la Santa Sede si era ritrovata dopo la perdita del potere temporale con l’unità d’Italia. Difficilmente il papa americano imiterà tale frequenza di testi ufficiali, anche perché siamo in un’epoca di comunicazione continua e ridotta alle frasi brevi dei social, che Prevost invitava da cardinale a “usare con prudenza”, riflettendo molto prima di lanciare post sconsiderati, come quelli del suo presidente (e pseudo-papa) di Washington. Pecci fu anche il “papa dei lavoratori” o “papa sociale”, soprattutto in virtù della Rerum Novarum che aprì la riflessione sulla dottrina sociale della Chiesa, un testo che sollecita molto l’attenzione dei russi.

L’attuale patriarca di Mosca, Kirill (Gundjaev), elaborò a fine anni Novanta una concezione ortodossa della dottrina sociale, invitando i cattolici presenti in Russia a collaborare proprio confrontando le encicliche da Leone XIII a Giovanni Paolo II, e la grande letteratura novecentesca sull’impegno della Chiesa nelle relazioni politiche e sociali. Al sinodo russo del giubileo del 2000, che celebrava anche l’inizio della presidenza di Vladimir Putin, Kirill fece approvare questo documento che indicava le linee per un nuovo sviluppo della Russia sovranista, inserendo i punti chiave della “difesa dei valori tradizionali” da ogni ingerenza esterna, su un impianto di contenuti molto condivisi con la dottrina cattolica.

Leone XIII scrisse l’enciclica sociale nel 1891, e una delle sue fonti d’ispirazione fu proprio un autore russo, il grande filosofo Vladimir Solov’ev, che due anni prima aveva diffuso in tutta Europa un testo in cui proponeva una nuova visione del mondo, La Russia e la Chiesa universale. Egli proponeva di ritrovare il senso originario della tradizione cristiana, e soprattutto l’unità originaria di ortodossia e cattolicesimo, superando le divisioni storiche, sotto la guida temporale dello zar e l’autorità spirituale del papa. Un suo grande ammiratore fu l’influente cardinale di Zagabria, Josip Strossmayer, che sottopose il volume al papa con una lettera dello stesso Solov’ev, chiedendo se fosse stato disponibile a realizzare un progetto così utopico, che lui definiva la “libera teocrazia” e che a suo parere costituiva la “missione speciale” della Russia religiosa e monarchica, ma bisognosa del primato petrino e dell’infallibilità papale, da poco proclamata dogmaticamente. Leone XIII rispose che era una “idea bellissima, ma irrealizzabile salvo un miracolo”.

Nella stesura dell’enciclica si sente però un certo influsso delle teorie di Solov’ev, che indicava una “terza via” tra le grandi ideologie sociali del liberalismo e del socialismo, in un certo senso dell’Oriente e dell’Occidente, che in Russia si confrontavano da un secolo negli schieramenti degli “slavofili” e degli “occidentalisti”. Nella Rerum Novarum si insiste effettivamente sul concetto della “terza via”, cercando di mediare tra le posizioni di orientamento socialista e rivoluzionario e quelle proprie del liberismo economico di impronta capitalista, una riflessione ripresa e approfondita nelle encicliche dei papi successivi, nel 1931 dalla Quadragesimo Anno di Pio XI, dalla Mater et Magistra di Giovanni XXIII del 1961, dalla Populorum Progressio di Paolo VI del 1967 fino alla Centesimus Annus di Giovanni Paolo II nel 1991, alla fine dell’epoca sovietica.

Il papa Francesco, di cui Leone XIV ha promesso di proseguire il magistero e con cui aveva un rapporto molto intenso fin dai tempi della sua missione in Perù, accanto all’allora arcivescovo di Buenos Aires, ha scritto nel 2020 la sua conferma della dottrina sociale nell’enciclica Fratelli Tutti, chiedendo appunto anche a coloro che sono divisi dalle vicende umane di “riconoscersi fratelli perché figli di un unico Creatore, bisognosi di prendere coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso ci si può salvare solo insieme”. Il papa argentino era ispirato dal documento sulla fratellanza umana, firmato insieme al Grande Imam di Al-Azhar nel 2019, e ora tocca al papa americano-peruviano di riprendere queste grandi ispirazioni, antiche e recenti, per costruire la pace insieme ai popoli in guerra, alle confessioni cristiane e alle religioni del mondo. È questo il compito specifico del pontefice universale, il “costruttore di ponti” come quelli evocati da papa Prevost dal balcone di San Pietro, davanti alla folla immensa di tutti i popoli e le nazioni, augurando “la pace sia con voi, Dio ama tutti!”.

 

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