01/06/2019, 17.51
ROMANIA – VATICANO
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Papa in Romania: giovani non dimenticate le radici della fede, appresa in famiglia

Francesco nel pomeriggio si è recato a Iaşi per un incontro con giovani e famiglie. Ai giovani spetta “aprire strade per camminare insieme e portare avanti quel sogno che è profezia: senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra”. La fede “non è quotata in borsa, non si vende”, ma “è un dono che mantiene viva una certezza profonda e bella: la nostra appartenenza di figli, e figli amati da Dio”.

Bucarest (AsiaNews) – La fede unisce genitori e figli, nonni e nipoti, persone diverse per nascita e tradizioni, ma ai giovani spetta “aprire strade per camminare insieme e portare avanti quel sogno che è profezia: senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra”. Incontro con i giovani e le famiglie a Iaşi, nella parte più orientale della Romania, quasi al confine con la Moldavia.

Papa Francesco ci è arrivato nel pomeriggio, prendendo un altro aereo e un altro elicottero e subito dopo il suo arrivo si è recato alla cattedrale di Santa Mari Regina, dove erano presenti numerosi malati, salutati uno a uno. Uscendo, il Papa ha benedetto una statua di marmo di Cristo Redentore e una pietra che segnala il Cammino di Santiago di Compostela in Romania.

Come già stamattina al santuario di Şumuleu Ciuc, in Transilvania una grande folla ha fatto ala all’intero percorso dalla cattedrale al grande piazzale antistante il Palazzo della Cultura di Iaşi, dove si è svolto un incontro fatto di testimonianze e canti, prima delle parole di Francesco. Che ha sottolineato la vicenda di Elisabetta e Ioan che hanno parlato della realtà di una famiglia con 11 figli, che annovera due sacerdoti e due suore. “Figli – ha commentato Francesco - tutti diversi, arrivati da luoghi diversi, ma oggi sono tutti riuniti, così come qualche tempo fa ogni domenica mattina prendevano tutti insieme la strada verso la chiesa. La felicità dei genitori di vedere i figli riuniti. Sicuramente oggi in cielo si fa festa vedendo tanti figli che si sono decisi a stare insieme”.

“Voi – ha detto ancora - guardate al futuro e aprite il domani per i vostri figli, per i vostri nipoti, per il vostro popolo offrendo il meglio che avete imparato durante il vostro cammino: che non dimentichino da dove sono partiti. Dovunque andranno, qualunque cosa faranno, non dimentichino le radici. È lo stesso sogno, la stessa raccomandazione che San Paolo fece a Timoteo: mantenere viva la fede di sua madre e di sua nonna (cfr 2 Tm 10,5-7). Nella misura in cui cresci – in tutti i sensi: forte, grande e anche facendosi un nome – non dimenticare quanto di più bello e prezioso hai imparato in famiglia”.

“Certo – ha aggiunto - la fede che ‘non è quotata in borsa’, non si vende e, come ci ricordava Eduard, può sembrare che «non serva a niente». Ma la fede è un dono che mantiene viva una certezza profonda e bella: la nostra appartenenza di figli, e figli amati da Dio. Dio ama con amore di Padre: ogni vita, ognuno di noi gli appartiene. È un’appartenenza di figli, ma anche di nipoti, sposi, nonni, amici, vicini; un’appartenenza di fratelli. Il maligno divide, disperde, separa e crea discordia, semina diffidenza. Vuole che viviamo ‘distaccati’ dagli altri e da noi stessi. Lo Spirito, al contrario, ci ricorda che non siamo esseri anonimi, astratti, esseri senza volto, senza storia, senza identità. Non siamo esseri vuoti né superficiali. Esiste una rete spirituale molto forte che ci unisce, ci ‘connette’ e ci sostiene e che è più forte di ogni altro tipo di connessione. Sono le radici: sapere che apparteniamo gli uni agli altri, che la vita di ciascuno è ancorata alla vita degli altri. ‘I giovani fioriscono quando sono amati veramente’”.

Riferendosi poi a un giovane, Eduard, che “ci diceva che lui come tanti altri del suo Paese prova a vivere la fede in mezzo a numerose provocazioni”, “sono davvero tante – ha rilevato - le provocazioni che ci possono scoraggiare e farci chiudere in noi stessi. Non possiamo negarlo, non possiamo fare come se niente fosse. Le difficoltà esistono e sono evidenti. Ma questo non può farci perdere di vista che la fede ci dona la più grande delle provocazioni: quella che, lungi dal rinchiuderti o dall’isolarti, fa germogliare il meglio di ciascuno. Il Signore è il primo a provocarci e a dirci che il peggio viene quando ‘non ci saranno sentieri dal vicino al vicino’, quando vediamo più trincee che strade. Il Signore è Colui che ci dona un canto più forte di tutte le sirene che vogliono paralizzare il nostro cammino. E lo fa nello stesso modo: intonando un canto più bello e attraente. Il Signore dona a tutti noi una vocazione che è una provocazione per farci scoprire i talenti e le capacità che possediamo e perché le mettiamo al servizio degli altri. Ci chiede di usare la nostra libertà come libertà di scelta, di dire ‘sì’ a un progetto d’amore, a un volto, a uno sguardo. Questa è una libertà molto più grande che poter consumare e comprare cose. Una vocazione che ci mette in movimento, ci fa abbattere trincee e aprire strade che ci ricordino quell’appartenenza di figli e fratelli”.

“Non si tratta – ha detto ancora - di creare grandi programmi o progetti, ma di lasciar crescere la fede. Come vi dicevo all’inizio: la fede non si trasmette solo con le parole, ma con gesti, sguardi, carezze come quelle delle nostre madri, delle nostre nonne; con il sapore delle cose che abbiamo imparato in casa, in maniera semplice e genuina. Lì dove c’è molto rumore, che sappiamo ascoltare; dove c’è confusione, che ispiriamo armonia; dove tutto si riveste di ambiguità, che possiamo portare chiarezza; dove c’è esclusione, che portiamo condivisione; in mezzo al sensazionalismo, ai messaggi e alla notizie rapide, che abbiamo cura dell’integrità degli altri; in mezzo all’aggressività, che diamo la precedenza alla pace; in mezzo alla falsità, che portiamo la verità; che in tutto, in tutto privilegiamo l’aprire strade per sentire questa appartenenza di figli e di fratelli (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2018”).

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