28/09/2017, 10.31
VATICANO
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Papa: il rimorso, la coscienza del male commesso è la via per il perdono

Il rimorso della coscienza non è “un semplice ricordare qualcosa”, bensì “una piaga”. “Una piaga che noi quando nella vita abbiamo fatto dei mali, fa male”. È quindi “una grazia sentire che la coscienza ci accusa, ci dice qualcosa”. “Io ho questo rimorso di coscienza perché ho fatto questo, concreto; la concretezza. E questa è la vera umiltà davanti a Dio e Dio si commuove davanti alla concretezza”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Non aver paura dei rimorsi della coscienza, di dire la verità, confessando i nostri peccati nella loro concretezza, che è la via per il perdono. L’ha detto papa Francesco nell’omelia della messa che ha celebrato stamattina a Casa santa Marta, commentando il brano del Vangelo di Luca, che racconta la reazione di Erode alla predicazione di Cristo.

Francesco ha ricordato come alcuni associassero Gesù a Giovanni Battista e a Elia, altri lo identificassero con un profeta. Erode non sapeva quindi “cosa pensare” ma “sentiva dentro” qualcosa, che “non era una curiosità”, era “un rimorso nell’anima, “nel cuore”: cercava di vedere Gesù “per tranquillizzarsi”. Voleva vedere miracoli compiuti da Cristo ma Gesù – nelle parole del Papa - non fece “il circo davanti a lui”, quindi lo consegnò a Pilato: e Gesù pagò, con la morte. Quindi ha coperto “un crimine con un altro”, “il rimorso della coscienza con un altro crimine”, come chi “uccide per timore”.

Il rimorso della coscienza non è dunque “un semplice ricordare qualcosa”, bensì “una piaga”. “Una piaga che noi quando nella vita abbiamo fatto dei mali, fa male. Ma è una piaga nascosta, non si vede; neppure io la vedo, perché mi abituo a portarla e poi si anestetizza. È lì, alcuni la toccano, ma la piaga è dentro. E quando quella piaga fa male, sentiamo il rimorso. Non solo sono conscio di avere fatto del male, ma lo sento: lo sento nel cuore, lo sento nel corpo, nell’anima, lo sento nella vita. E da lì la tentazione di coprire questo per non sentirlo più”.

È quindi “una grazia sentire che la coscienza ci accusa, ci dice qualcosa”. D’altra parte “nessuno di noi è un santo” e tutti siamo portati a guardare i peccati “degli altri” e non i nostri, compatendo magari chi soffre in guerra o a causa di “dittatori che ammazzano la gente”. “Noi dobbiamo - permettetemi la parola -battezzare’ la piaga, cioè darle un nome. Dove hai la piaga? ‘Come faccio padre per tirarla fuori?’- ‘Ma prima di tutto prega: Signore, abbi pietà di me che sono peccatore’. Il Signore ascolta la tua preghiera. Poi esamina la tua vita. ‘Se non vedo come e dove c’è quel dolore, da dove viene, che è un sintomo, come faccio?’- ‘Chiedi aiuto a qualcuno che ti aiuti ad uscire; che esca la piaga e poi darle un nome’. Io ho questo rimorso di coscienza perché ho fatto questo, concreto; la concretezza. E questa è la vera umiltà davanti a Dio e Dio si commuove davanti alla concretezza”.

Quella concretezza che, ha indicato Francesco, è espressa dai bambini in confessione. Una concretezza di dire ciò che si è fatto, per far venire “fuori la verità”. “Così si guarisce”. “Imparare la scienza, la saggezza di accusare se stesso. Io accuso me stesso, sento il dolore della piaga, faccio di tutto per sapere da dove viene questo sintomo e poi accuso me stesso. Non avere paura dei rimorsi della coscienza: sono un sintomo di salvezza. Avere paura di coprirli, di truccarli, di dissimularli, di nasconderli ... Quello sì, ma essere chiari. E così il Signore ci guarisce”. La preghiera finale è stata affinché il Signore ci dia la grazia “di avere quel coraggio di accusare noi stessi” per incamminarci sulla via del perdono.

 

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