08/09/2020, 12.02
CINA-INDIA
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Pechino e Delhi si scambiano accuse per i colpi d’arma da fuoco lungo il confine

Non si contano vittime, ma è la prima volta dal 1975 che volano proiettili lungo la frontiera contesa. Da maggio le due parti ammassano truppe tra Ladakh e Tibet. Entrambe si oppongono alla costruzione di strade nei rispettivi versanti del confine. Militari cinesi accusati di aver rapito cinque giovani indiani nell’Arunachal Pradesh. Delhi potrebbe giocarsi la “carta Tibet” nei negoziati. Esperto indiano: Sono solo esibizioni simboliche di forza.

Pechino (AsiaNews) – Cina e India si accusano a vicenda di aver sparato colpi d’arma da fuoco lungo il confine himalayano, dove dai primi di maggio stanno ammassando truppe. Non si contano vittime, ma è la prima volta dal 1975 che volano proiettili nell’area contesa dai due Paesi.

L’incidente sarebbe avvenuto ieri nei pressi dell’avamposto di Pangong Tso, lungo la frontiera provvisoria (Line of Actual Control, Lac) che divide il Ladakh indiano dal Tibet. Secondo l’esercito cinese, unità indiane avrebbero varcato il confine. Una volta arrivati i militari di Pechino, le forze di Delhi avrebbero sparato un imprecisato numero di colpi. Il ministero della Difesa indiano ha dato una versione diversa: sarebbero state le truppe indiane ad avvicinarsi a una postazione di frontiera indiana e ad aprire il fuoco.

Nel 1996 i due governi firmarono un accordo in base al quale si impegnavano a non usare armi da fuoco entro 2 km dalla Lac. Ciò non ha impedito l’esplodere di scontri a “mani nude” tra le due parti. Il 15 giugno truppe indiane e cinesi si sono affrontate nella valle di Galwan, tra il Ladakh e l’Aksai Chin cinese: 20 soldati indiani sono morti, insieme a un numero imprecisato di militari cinesi. Secondo resoconti di stampa, Pechino avrebbe inviato le sue truppe in risposta alla costruzione da parte indiana di una strada lungo il confine.

I due Paesi condividono un confine di 3.488 km nell’impervia regione himalayana, per il quale hanno combattuto un breve ma sanguinoso conflitto nel 1962. Delhi rivendica ampi settori dell’Aksai Chin (che i cinesi hanno ottenuto dal Pakistan); Pechino avanza pretese sullo Stato indiano dell’Arunachal Pradesh. Negli ultimi 45 anni le due Forze armate si sono fronteggiate diverse volte, senza registrare vittime.

Negli ultimi giorni la tensione è salita alle stelle anche per la scomparsa di cinque giovani indiani nell’Arunachal Pradesh. Le loro famiglie sostengono che siano stati rapiti da soldati cinesi. Il governo di Delhi non si è espresso ancora in modo ufficiale sull’accaduto. Ram Madhav, segretario generale del Bharatya Janata Party, ha partecipato però oggi al funerale di un soldato indiano di origine tibetane ferito a morte il 29 agosto dallo scoppio di una mina lungo la Lac.

Per gli analisti, la presenza di Madhav è il segnale che il partito del premier Narendra Modi è pronto a giocarsi la carta del Tibet – militarizzato da Pechino per soffocare l’identità culturale della locale comunità buddista – nella disputa di frontiera. 

I ministri degli Esteri dei due Paesi dovrebbero incontrarsi nei prossimi giorni a Mosca per provare a fermare l’escalation. Swaran Singh, docente di studi internazionali all’università Jawaharlal Nehru di Delhi, ha spiegato ad AsiaNews che fino a quando i massimi leader cinesi e indiani sono pronti a discutere, le schermaglie di confine rimarranno solo esibizioni “tattiche e simboliche” di forza. Per l’accademico indiano, i due giganti hanno relazioni “troppo intrecciate” per poter arrivare a un vero e proprio conflitto.

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