30/09/2011, 00.00
ASIA – STATI UNITI
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Pechino: E' giusta una guerra contro Vietnam e Filippine, per dominare il Mar cinese meridionale

Secondo un analista cinese vi è “logica, beneficio e buone ragioni” per scatenare una guerra nella regione Asia-Pacifico. Il suo articolo spopola in rete e trova il sostengo di molti internauti. Giappone e Filippine promuovono un fronte comune, il Vietnam rilancia il nazionalismo in chiave anti-cinese. Taiwan conferma le rivendicazioni su una parte delle Spratly.
Pechino (AsiaNews) – Pechino deve punire Filippine e Vietnam, per le rivendicazioni avanzate sulle isole contese nel Mar cinese meridionale. È quanto sostiene un analista politico ed esperto di energia cinese, secondo cui vi è “logica, beneficio e buone ragioni” per scatenare una guerra nella regione Asia-Pacifico. In un commento pubblicato sul Global Times – quotidiano vicino al Partito comunista – Long Tao sottolinea che le isole Spratly e Paracel sono “il campo di battaglia ideale” per guerre di piccola scala. A conferma della sua tesi, snocciola diversi ragioni per cui è opportuno combattere, perché “la Cina non ha nulla da perdere”.

Analista dell’ente non governativo China Energy Fund Committe, Long chiede una “spedizione educativa morale” contro le nazioni – fra cui Vietnam e Filippine – che rivendicano analoghe pretese nell’area. E sembra incurante di una possibile reazione degli Stati Uniti che, a suo dire, sono “fondamentalmente incapaci di riprendere una seconda guerra nel Mar cinese meridionale” e la cui posizione “rigida” è bollata dall’analista come “un bluff”. L’articolo di Long Tao è subito circolato in rete, ricevendo in poche ore almeno 2mila messaggi di sostegno fra gli internauti cinesi. Per il momento non vi sono prese di posizione ufficiale da parte di esperti del settore militare, con profondi legami e conoscenze all’interno dell’esercito cinese; si tratta di una “questione delicata”, perché promuove una politica bellicista che è contraria allo sviluppo “pacifico” finora perseguito dalla leadership di Pechino. Un colonnello in pensione del People’s Liberation Army (Pla), in condizione di anonimato, riferisce che sarà “inevitabile” la guerra, se Vietnam e Filippine “spingeranno la Cina in un angolo”.

Per fronteggiare la maggiore aggressività cinese, Manila e Tokyo promuovono un “comune accordo” che riafferma gli “interessi vitali” dei due Paesi nell’area. Il 27 settembre scorso il premier giapponese Yoshihiko Noda e il presidente filippino Benigno Aquino hanno sottoscritto un documento volto a rafforzare la cooperazione navale. Noda ha ribadito che le due nazioni condividono “valori di base e interessi strategici”. Aquino, dedito al “dialogo pacifico” con Pechino, ha aggiunto che vi è un interesse con Tokyo a “cooperare sulle questioni legate alla sicurezza marittima”.

Intanto il Vietnam sembra intenzionato a cavalcare la campagna nazionalista, identitaria e di riconciliazione nazionale in chiave anticinese. L’aggressività di Pechino ha determinato la nascita di un fronte comune, al cui interno vi sono anche – fatto senza precedenti – ex combattenti del Sud ai tempi della guerra, legati al regime filo-americano di Saigon. Sempre più intellettuali e attivisti di Hanoi e Ho Chi Minh City sembrano intenzionati a mettere da parte antiche divisioni, scontri e rancori, per creare un “fronte unito” contro il potente vicino. Gli attacchi contro imbarcazioni vietnamite, il sequestro di barche da parte della marina cinese, sono giudicati come una minaccia alla sicurezza e all’indipendenza della nazione e scatenano la reazione di una popolazione orgogliosa nel rivendicare la propria autonomia.

In questo scenario di guerra verbale e posizionamento sullo scacchiere, si inserisce anche Taiwan: dopo un periodo trascorso ai margini della contesa, il governo di Taipei rilancia il possesso di una parte delle Spratly. Il ministero della Difesa lavorerà in accordo con la guardia costiera nazionale, per rafforzare la sicurezza sull’isola di Taiping, la sola dell’area a godere di fonti d'acqua, installando pure armi pesanti e artiglieria. Di recente il governo cinese ha più volte invocato la collaborazione di Taipei, ma sinora l’amministrazione guidata da Ma Ying-jeou ha snobbato le richieste cinesi. Ora non è da escludere un accordo fra i due, per dar vita a un fronte unito contro le nazioni del Sud-est asiatico.

Fra le nazioni della regione Asia-Pacifico, la Cina è quella che avanza le maggiori rivendicazioni in materia di confini marittimi nel mar Cinese meridionale, che comprendono le isole Spratly e Paracel, disabitate, ma assai ricche di risorse e materie prime. L’egemonia nell’area riveste un carattere strategico per il commercio e lo sfruttamento delle materie prime, fra cui petrolio e gas naturale.

A contendere le mire espansionistiche di Pechino vi sono il Vietnam, le Filippine, la Malaysia, il sultanato del Brunei e Taiwan, cui si uniscono la difesa degli interessi strategici degli Stati Uniti nell’area. Washington, in particolare, muove da dietro le quinte una trama di alleanze per contenere l’espansionismo cinese. Filippine e Giappone in primis, ma anche Vietnam potrebbero diventare preziosi alleati in uno scenario di conflitto aperto nella regione Asia-Pacifico che si profila all’orizzonte.
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