08/10/2008, 00.00
CINA
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Plenum del Comitato centrale: le stentate riforme per i contadini cinesi

di Bernardo Cervellera
Da domani fino al 12 ottobre si tiene a Pechino il raduno del Comitato centrale del Partito comunista. A tema vi sono le riforme per le aree rurali dove cresce la povertà e la rivolta sociale. I contadini non hanno diritto di parola. Il reddito medio nelle campagne è 4-5 volte minore di quello delle città.

Roma (AsiaNews) – “Promuovere le riforme e lo sviluppo nelle aree rurali”: è questo il tema che da domani fino al 12 ottobre terrà impegnate le personalità più in vista del Comitato centrale del Partito comunista cinese. Dalle notizie apparse sulla stampa ufficiale non si sa molto di più. L’agenzia Xinhua è piena di appelli alle “riforme”, al “miglioramento”, allo “sviluppo”, ma senza troppi contenuti. Anche i motivi sono abbastanza vaghi: le riforme vanno fatte “in nome dell’armonia sociale” e per risolvere “il problema del cibo per più di un miliardo di persone” e mantenere “la sicurezza della nazione”.

È certo che con il crescere di una crisi finanziaria e il timore di una recessione globale, la Cina vuole essere sicura di non dipendere dalle importazioni per garantire derrate alimentari per la sua popolazione. Negli ultimi anni, grazie alla crescita economica del Paese, Pechino ha messo da parte quella che era stato uno dei principi del maoismo, l’autosufficienza alimentare, importando grano, riso, e altri beni commestibili all’estero. Quest’anno l’inflazione è cresciuta fino all’8%, colpendo in particolare proprio i cibi, la carne, le verdure, l’olio da cucina, il riso, creando tensioni in tutto il Paese e scuotendo “la sicurezza della nazione”.

Le minacce alla “sicurezza” e “all’armonia sociale” hanno però delle cause ancora più radicali: almeno la metà delle rivolte sociali che avvengono in Cina ogni anno (86 mila nel 2005: in seguito il governo non ha più diffuso dati completi), sono dovuti a conflitti fra contadini e capi villaggio e segretari di Partito. Questi ultimi, attratti da guadagni facili e bustarelle, vendono le terre – possedute in comune dal villaggio – a speculatori edilizi che li usano per costruire case o nuovi impianti industriali.

Secondo dati forniti dal ministero della Terra e delle risorse, nel 2006 le espropriazioni indebite di terreni sono cresciute del 17,3% rispetto a un anno prima, giungendo a 131mila casi. Si tratta di circa 100 mila ettari di terreni, un’estensione che supera del 76% quella del 2005. Almeno 43 mila ettari espropriati sono terreni agricoli.

Finora la polizia ha risolto queste rivolte con la forza, arrestando i “capi popolo”e condannandoli al lager e sparando sulla folla. La mappa di queste rivolte e repressioni abbraccia molte regioni della Cina: Hebei, Guangdong, Sichuan, Heilongjiang, Hunan, Fujian…

L’esproprio dei terreni è facilitato dal fatto che in Cina i contadini non hanno la proprietà delle terre: essi ricevono in affitto per 30 anni la terra che lavorano e possono utilizzarla solo per l’agricoltura, da cui ricavano gli utili. L’affitto delle terre è già un passo avanti rispetto alle comuni agricole del tempo di Mao, dove terre, produzione e utili appartenevano al villaggio. Le prime riforme rurali di Deng Xiaoping, negli anni ’80 hanno responsabilizzato i contadini, portandoli a quadruplicare la produzione agricola.

Con lo sviluppo industriale e selvaggio degli ultimi 15 anni, i contadini hanno visto sempre più ridursi la loro ricchezza, a vantaggio delle città e hanno subito espropri e angherie a favore dello sviluppo economico industriale. Perfino gli investimenti di denaro pubblico nella sanità e nell’educazione hanno sempre privilegiato le città dove vive solo il 25% della popolazione cinese.

Secondo voci insistenti a Pechino, il prossimo Comitato centrale dovrebbe varare riforme che permettano ai contadini di affittare le terre fino a 70 anni. Ciò faciliterà il passaggio di padre in figlio del contratto o la vendita per lungo tempo dell’uso dei terreni, mantenendo un valore alto.

La scorsa settimana, il presidente Hu Jintao, visitando il villaggio di Xiaogang, nell’Anhui – dove sono cominciate le riforme rurali 30 anni fa – ha detto che vi saranno riforme “secondo il desiderio[dei contadini]”.

Sarà sufficiente questa riforma pere placare le rivolte sociali? Secondo alcuni analisti il problema più grave è che queste riforme cadono dall’alto senza che i contadini possano dire una parola. Si allunga l’affitto delle terre, ma non si dà loro la proprietà dei terreni e si continua a mantenere la vendita di derrate agricole sotto il controllo dello Stato (mentre in città vige il mercato libero). E soprattutto, si continua a privilegiare l’80% della spesa pubblica alle città mentre agli oltre 750 milioni di contadini vanno le briciole in sanità e scuole. Grazie a questa iniqua distribuzione, il reddito medio annuo dei contadini è 4-5 volte minore di quello delle città: 4 mila yuan (circa 400 euro) in confronto a quasi 14 mila yuan (1400 euro). Tale divario è il maggiore da oltre 30 anni. Secondo alcuni studiosi, l’attuale livello di vita dei contadini è più basso di quello ai tempi di Mao Zedong.

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