02/05/2025, 14.28
ASIA - MEDIO ORIENTE
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Primo maggio in Asia: proteste, arresti e richieste (negate) di giustizia sociale

Dalla Turchia all'Iran, passando per le Filippine e il Giappone, la Festa del Lavoro è stata segnata da manifestazioni per i diritti dei lavoratori, spesso represse con la forza. Al centro delle proteste: salari più alti, equità sociale, pace e critica alle politiche economiche globali, soprattutto ai dazi di Trump. A Istanbul centinaia di arresti, insegnanti iraniani picchiati, mentre a Hong Kong la mobilitazione è ormai un ricordo.

Roma (AsiaNews/Agenzie) - Anche quest’anno il primo maggio, Festa di lavoratori e lavoratrici, ha portato con sé un’ondata di proteste ed eventi volti a rimarcare i diritti del lavoro. La giornata, celebrata da oltre un secolo in tutto il mondo, è stata intensa in diversi Paesi dell’Asia e del Medio Oriente. Dalla Turchia alle Filippine migliaia di persone hanno occupato spazi pubblici, subendo diversi arresti e scontri con la polizia. Al centro di marce e manifestazioni in questo momento d’incertezza internazionale, c’è il crescente disagio per la politica dei dazi del presidente Usa Donald Trump. 

I timori sono per una instabilità economica globale, che inesorabilmente condizionerebbe la vita delle persone. Nelle Filippine, dove in centinaia hanno occupato le strade di Manila scontrandosi pure con le forze dell’ordine, il leader della protesta Mong Palatino ha affermato che “le guerre tariffarie e le politiche di Trump” minacciano le industrie locali. Anche in Giappone sono stati ricordati - durante le proteste di Tokyo - gli scontri economici internazionali: un’ombra che grava su lavoratori e lavoratrici, di cui invece si dovrebbero promuovere i diritti. Le richieste dei manifestanti hanno compreso salari più alti, uguaglianza di genere, assistenza sanitaria, soccorsi in caso di calamità. E non sono mancarti appelli per la pace a Gaza e in Ucraina.

Ad Istanbul la polizia turca ha posto in stato di arresto centinaia di manifestanti. Le piazze si sono riempite nonostante il divieto di raduni pubblici, soprattutto in piazza Taksim - secondo restrizioni varate nel 2013 e ancora in vigore - e in viale Istiklal, luoghi iconici delle marce nella metropoli. La polizia ha quindi bloccato coloro che si stavano dirigendo verso la piazza, eseguendo anche arresti preventivi - come denuncia Amnesty - nelle abitazioni private nei giorni precedenti il primo maggio, per evitare l’affollamento della zona. I video mostrano le cariche della polizia in tenuta antisommossa contro i manifestanti. Chi è sceso in strada teneva cartelli e cantava slogan mentre la polizia trascinava con la forza molti di loro sugli autobus predisposti per l’occasione. Circa 400 sono stati gli arresti, quasi la totalità ad Istanbul. Ma in 78 province sono state oltre 286mila le persone a protestare.

Tuttavia, nella capitale economica e commerciale del Paese - a Kadıköy, sulla costa asiatica -, sono andate in scena anche proteste “pacifiche”, approvate dal governo. A parteciparvi migliaia di persone appartenenti a sindacati e associazioni professionali. Ma anche membri del gruppo di opposizione, il Partito popolare repubblicano (CHP), che hanno chiesto lavoro, democrazia e giustizia. La manifestazione, che si è mossa verso Piazza Rıhtım, aveva come motto “Vinceremo per il lavoro, la pace, la democrazia e la giustizia”. Nonostante la tranquillità che ha caratterizzato questo raduno, i controlli della polizia sono stati comunque stretti. Esponenti del CHP hanno definito i divieti “un riflesso del regime di repressione” di Erdogan.

In Iran la Festa del lavoro è stata caratterizzata dalla mobilitazione degli insegnanti, che hanno subìto una repressione violenta, venendo anche picchiati. Un gruppo di essi - attivi e in pensione - si è riunito fuori dalla sede del Ministero dell'Istruzione a Teheran. La protesta, promossa dal Consiglio di coordinamento delle associazioni di commercio degli insegnanti iraniani, è stata fronteggiata da una forte presenza di sicurezza. Secondo le testimonianza dei presenti, le forze dell’ordine hanno disperso il raduno, impedendo la realizzazione di fotografie e arrestando diversi partecipanti. Anche in altre città sono stati segnalati raduni simili, anch’essi repressi con le stesse modalità. 

Durante la giornata i funzionari del governo iraniano hanno cercato di rassicurare i lavoratori che affrontano crescenti difficoltà economiche nel tentativo di calmare le tensioni. È intervenuta la portavoce del governo Fatemeh Mohajerani, che ha affrontato le preoccupazioni salariali, dicendo che sebbene un aumento del 45% dei salari minimi sia stato approvato dal Consiglio supremo del lavoro, “l'inflazione ha eroso gran parte di quel guadagno”. Per mitigare l'impatto sulle famiglie a basso reddito, ha affermato che il governo continua a promuovere “politiche correttive” come coupon alimentari e sussidi per gruppi vulnerabili, comprese le madri e le donne incinte. L’amministrazione ha annunciato che domare le pesanti conseguenza dell'inflazione rimane la priorità per i lavoratori.

A Hong Kong, per il sesto anno consecutivo non si è tenuto un raduno. “Le organizzazioni e i volontari che tengono bandiere e striscioni sono diventati ricordi lontani, essendo scomparsi per il sesto anno”, si legge in una dichiarazione della Lega dei socialdemocratici (LSD). Quattro rappresentanti del partito pro democrazia si sono radunati per l’occasione fuori dalla sede del governo, chiedendo che alla classe operaia della città sia concessa “dignità" tra le incertezze economiche. "Che sia sul posto di lavoro, nella vita o nella società, dobbiamo vivere come esseri umani", è stato affermato. Chan Po-ying, presidente di LSD fermata dalla polizia - il cui marito è in prigione per "cospirazione per commettere sovversione” -, ha anche lamentato la mancanza di rappresentanza democratica all'interno del Consiglio legislativo della città.

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