04/03/2008, 00.00
VATICANO – ISLAM
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Prove di dialogo tra la Chiesa e i 138 studiosi islamici

Si apre oggi un incontro tra il dicastero vaticano per il dialogo interreligioso ed una rappresentanza dei firmatari della lettera “Una parola comune tra noi e voi”. Un colloquio di grande rilievo, preparatorio ad un colloquio degli islamici con Benedetto XVI.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Cercare le vie per “affermare i valori del reciproco rispetto, solidarietà e pace”, guardando a ciò che unisce, senza nascondere ciò che divide. E’ l’obiettivo di fondo del colloquio tra cristiani e musulmani auspicato nella lettera scritta il 13 ottobre 2007 da 138 studiosi musulmani ai leader cristiani, alla quale oggi fa seguito un primo incontro in Vaticano tra alcuni firmatari del documento ed il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
 
Si tratta di un colloquio di grande rilievo, e che è preparatorio ad un incontro che alcuni dei firmatari islamici dovrebbero avere con lo stesso Benedetto XVI, il quale, rispondendo al documento dei musulmani, in una lettera del 29 ottobre a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, esprime “gratitudine” e “profondo apprezzamento” per l’iniziativa e “per la chiamata a un impegno comune per promuovere la pace nel mondo”. “Senza ignorare o sottovalutare le nostre differenze come musulmani e cristiani - scriveva ancora - possiamo e dobbiamo guardare ciò che ci unisce, la fede in un unico Dio, Creatore provvidenziale e Giudice universale che alla fine del tempo giudicherà ogni persona secondo le azioni da questa compiute. Siamo chiamati – prosegue -  ad affidarci totalmente a Lui e ad obbedire alla Sua sacra volontà”.
Il gruppo degli studiosi islamici è rappresentato da Abdel Hakim Murad Winter della University of the Muslim Academic Trust (Regno Unito), Aref Ali Nayed, già docente del Pontificio istituto di studi arabi e orientali (Pisai), Sergio Yahya Pallavicini del Coreis (Italia), Ibrahim Kalin della Seta Foundation di Ankara e Sohail Nakhooda, giordano, direttore di Islamica Magazine, il periodico che, pubblicando il 15 ottobre 2006 una lettera di 38 studiosi musulmani in risposta alla lezione di Benedetto XVI a Regensbug, può essere considerato l’apripista musulmano del dialogo.
 
Dialogo non facile. La lettera dei 138, intitolata “Una parola comune tra noi e voi”, propone infatti sostanzialmente un dialogo teologico sui comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo, presenti sia nel Corano che nella Bibbia. Benedetto XVI ha invece indicato le più concrete vie dei “diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio”, come ebbe a dire, proprio in un passaggio dedicato al dialogo con l’islam nel discorso alla curia romana del 22 dicembre 2006.
 
La libertà religiosa, peraltro, dal punto di vista cattolico “è una delle tematiche più delicate” e “anche fondamentale”, ha evidenziato oggi don Andrea Pacini, consultore della Commissione per i rapporti religiosi con i musulmani al Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Intervistato da Radio Vaticana, don Pacini ha detto che “tra l’altro, all’interno del mondo musulmano contemporaneo, anche recentemente abbiamo assistito a delle spinte diversificate”. Da una parte il Qatar, con “una grande apertura” che “ha portato alla concessione di spazi alle diverse Chiese cristiane per la costruzione di edifici di culto e quindi l’uscita non solo dalla clandestinità, ma direi anche addirittura il dono di terreni su cui costruire le chiese”. Dall’altra “non prendere anche atto che in Algeria, ad esempio, soltanto due anni fa è stata emanata una nuova legge che condiziona fortemente l’esercizio della libertà religiosa. E’ soltanto di un mese fa la notizia dell’arresto di un prete cattolico soltanto perché aveva condotto una preghiera all’interno di una famiglia cattolica. Questa legge prevede, infatti, che si possa celebrare il culto soltanto ed esclusivamente negli edifici ufficialmente riconosciuti come tali dallo Stato. Il dialogo sarà, quindi, efficace in quanto passerà dalla dimensione - che ci vuole - di carattere culturale alla traduzione in prassi giuridiche che tutelino la libertà religiosa. Questo – ha concluso - mi sembra il banco di prova e la verifica di efficacia di ogni percorso di dialogo”.
 
 
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