17/02/2023, 10.24
SIRIA - TURCHIA
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Provinciale gesuiti: dalla guerra al terremoto, Aleppo città ‘traumatizzata’

di p. Michael Zammit Mangion S.J.*

A oltre 10 giorni dalla scossa principale altre tre persone salvate dalle macerie. Le vittime accertate superano quota 41mila. Dal 17 al 21 febbraio il prefetto del Dicastero per le Chiese orientali in visita nelle zone terremotate per portare il sostegno del papa. Il provinciale dei gesuiti racconta la paura sperimentata “quotidianamente” dalle persone. 

Aleppo (AsiaNews) - Una adolescente di 17 anni è stata salvata dalle macerie ieri a Kahramanmaras, nel sud della Turchia, a 11 giorni di distanza dal devastante terremoto che ha colpito il Paese e la vicina Siria causando sinora oltre 41mila vittime accertate. Al momento del salvataggio, la ragazza era cosciente e ha potuto chiudere e aprire gli occhi seguendo le istruzioni delle squadre mediche. Sempre in Turchia a 261 ore dalla scossa principale altri due uomini di 26 e 34 anni sono stati  estratti vivi dalle macerie di un ospedale privato ad Hatay. Stasera è previsto l’arrivo del prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, mons. Claudio Gugerotti, dal 17 al 21 febbraio in visita ufficiale nei due Paesi per esprimere la vicinanza di papa Francesco alla popolazione e agli operatori della Caritas e altre agenzie in prima fila nei soccorsi. Un’opera fondamentale, per alleviare le sofferenze - come racconta p. Michael dopo aver visitato le aree terremotate - per alleviare “la paura che sperimentano quotidianamente le persone”. 
Ecco, di seguito, alcuni estratti della testimonianza del gesuita:

Sono arrivato ad Aleppo assieme a p. Mourad Abou Seif, p. Tony Homsy e p. Nawras Sammour l'11 febbraio. P. Tony O’Riordan, gesuita irlandese direttore nazionale per la Siria, ci aveva preceduto di alcuni giorni e si stava già adoperando per coordinare la risposta dei gesuiti in piena emergenza. 

Mi aspettavo di trovare in città le stesse immagini che avevo visto in Turchia: interi quartieri rasi al suolo. Ma ad Aleppo non è così. Un certo numero di case sono collassate, mi hanno detto circa un ottantina o poco più. Si tratta di palazzi crollati in mezzo ad altri che sono invece rimasti in piedi. Tuttavia, un gran numero di essi sono diventati inagibili perché pericolosi, e le persone non possono entrare al loro interno. Più di 100 squadre di ingegneri civili sono impegnate a verificarne la stabilità e, secondo le previsioni, oltre 8mila fra queste saranno dichiarate non sicure e dovranno essere poi abbattute. 

Ciò che mi colpisce maggiormente è la paura che sperimentano quotidianamente le persone che vivono in città. Gli abitanti sono traumatizzati. Sono spaventati e temono di tornare nelle loro abitazioni. La vita ad Aleppo è stata assai dura in questi 12 anni, a causa della guerra, delle enormi devastazioni, la mancanza di elettricità e di carburante per riscaldare le abitazioni in una città in cui d’inverno fa decisamente freddo. I posti di lavoro disponibili sono pochi. In questi ultimi due anni l’inflazione è stata tale che le persone non sono in grado di acquistare beni di prima necessità. Molte famiglie non mangiano carne rossa o pollame per diverse settimane. Tuttavia, riuscivano a sopravvivere e sperare in giorni migliori. Ora questo terremoto - o meglio questi terremoti - li hanno derubati di questa misera speranza. È terribile da vedere.

In seguito alla prima scossa, verso le 5 del mattino, le persone sono fuggite dalle loro case e si sono radunate sotto la pioggia gelida nelle piazze pubbliche. Le chiese e le moschee hanno aperto le porte per ospitare le migliaia di persone che avevano abbandonato le loro case. Dal 6 febbraio la Chiesa greco-ortodossa di Sant’Elia accoglie diverse centinaia di persone rifugiate al suo interno. Le sale sono riscaldate e i generatori forniscono elettricità. La chiesa garantisce tre pasti al giorno a tutte le persone che vi soggiornano, siano esse cristiane o musulmane. La madre di uno dei nostri gesuiti, che ha trascorso sei giorni all’interno, mi ha raccontato di quanto fosse confortante stare con gli altri, in un luogo dove venivano forniti calore e luce. Molte associazioni locali stanno fornendo un aiuto di emergenza e stanno ricevendo donazioni dalla stessa Siria. Ho visitato mons. Antoine Audo, vescovo caldeo, domenica 12 febbraio dopo la messa nella sua cattedrale. L’edificio ha subito solo danni lievi e facilmente riparabili.

A una prima impressione, la risposta all’emergenza sembra adeguata. Tuttavia, ci troviamo all’interno di una crisi di medio termine in cui è necessario trovare un riparo per migliaia di persone, e in una città che deve già portare il peso di una crisi di lungo periodo. Il Jesuit Refugees Service (Jrs) sta preparando una risposta, partendo proprio da questo aspetto. In molte aree in cui sono presenti hanno già ripreso ad operare a regime: Hullok, Sahour e Midan (st Wartan) dove forniscono assistenza sanitaria di base gratuita, mentre riprenderanno a breve anche le attività rivolte all’infanzia a Sakhour. Queste iniziative aiuteranno anche i bambini a riprendersi dal terribile impatto del terremoto. In coordinamento con la Mezzaluna rossa siriana, è allo studio la possibilità di potenziare il servizio medico per includere un numero crescente di persone. Il Jrs ha inoltre in mente un programma di valutazione dei bisogni e della vulnerabilità di otto centri di accoglienza di emergenza, presenti nei quartieri in cui gli attivisti già operano, per preparare al meglio anche nuovi servizi da fornire in un futuro prossimo.

Ho lasciato Aleppo davvero impressionato dal coraggio dei miei confratelli gesuiti e dal lavoro fatto dal Jrs in questa situazione di estrema difficoltà. Con la loro forza lavoro di circa 140 elementi qui ad Aleppo, hanno le capacità necessarie per svolgere questo lavoro. A Homs, i gesuiti avevano già iniziato ad aiutare le numerose persone che erano fuggite da Aleppo e stavano cercando rifugio lì, molti con amici e familiari. Gli operatori hanno organizzato la distribuzione di coperte e un pasto caldo. Il primo giorno stavano distribuendo 70 pasti cucinati. Nei giorni scorsi il numero è salito a 350. Promuoviamo anche attività coi giovani a Homs, coinvolgendone oggi un migliaio fino ai 18 anni di età nelle scuole di catechismo, cui si sommano 400 studenti universitari che vengono per la formazione religiosa una volta alla settimana, circa 170 giovani insegnano catechismo.

Molti giovani stanno ordinando vestiti e coperte, altri ancora fanno la spesa o preparano direttamente il cibo nella nostra cucina, sotto la supervisione del cuoco della comunità. Tutti sono felici di poter contribuire in qualche modo alla macchina degli aiuti. È meraviglioso vedere come, a seguito di questa calamità, intere comunità si sono riunite per sostenersi reciprocamente, alcune dando coperte, altri vestiti, altre ancora portando cibo da condividere. Persone che hanno poco o niente, e che donano ad altre che hanno ancor meno ciò di cui hanno bisogno.

* provinciale dei Gesuiti del Vicino Oriente e del Maghreb

(ha collaborato Nirmala Carvalho)

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