03/11/2009, 00.00
SRI LANKA
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Rifugiati tamil rispediti a casa, ma i villaggi sono ridotti peggio dei campi profughi

di Melani Manel Perera
Gli abitanti di Welighakandiya e Kudumbimalai sono tornati nei loro villaggi di origine, ma vivono senza acqua, cibo, servizi sanitari di basi e senza la possibilità di ricominciare a lavorare la terra. Raajan Francis, coordinatore del programma Praja Abhilasha, afferma: “Sembrano reinsediati in un capo profughi ed in prigioni a cielo aperto”.
Batticaloa (AsiaNews) – Gli abitanti di Welighakandiya e Kudumbimalai, nei pressi di Batticaloa, tornano nei loro villaggi d’origine dopo anni vissuti da sfollati della guerra, ma “sembrano reinsediati in un capo profughi ed in prigioni a cielo aperto”. È la denuncia di Raajan Francis, coordinatore del programma Praja Abhilasha impegnato nei problemi di disputa delle terre.
 
Nel 2007 circa 600 famiglie tamil hanno abbandonato Welighakandiya per trovare riparo dalla guerra a Mailanbawali. Il 29 giugno di quest’anno, dopo la riconquista della North Eastern Province da parte delle truppe governative, le prime 32 famiglie sono tornate nel villaggio. Ma invece di rientrare nelle loro case sono state sistemate nella scuola locale. Per circa un mese hanno cercato di ricostruire le loro abitazioni alla bell’e meglio, usando argilla e lastre di alluminio donate da una ong. Ora le case non sono certo recuperate, dei due pozzi per l’acqua potabile ne funziona solo uno, non ci sono servizi e la gente deve usare la foresta nonostante il divieto dell’esercito.
 
A tutto questo si aggiunge il dramma della fame. A novembre finiranno le razioni di alimenti garantite per soli sei mesi dalle autorità. Racconta una donna del villaggio: “All’inizio ricevevamo riso, dhal, latte in polvere, olio di cocco, ma la magior parte di questi alimenti erano scaduti. Le razioni di cibo liofilizzato non sono sufficienti. Per lenire la fame cerchiamo pesci nel lago e li secchiamo, ma non possiamo sfamare i nostri bambini”.
 
Welighakandiya dista 18 km dalla città più vicina, Maha Oya. “Se qualcuno si ammala o si ferisce – dice un abitante del villaggio - deve essere trasportato con mezzi di fortuna. Dobbiamo andare dai soldati e supplicare la loro compassione”.
 
Anche per lavorare la situazione è difficile. Dice il 66enn K. Mahalingam: “Ci avevano detto che avremmo avuto ogni cosa necessaria per ricominciare: un po’ di bestiame, qualche capra, semi per ricominciare a coltivare. Non abbiamo ricevuto nulla. Noi uomini dobbiamo cercare lavoro altrove”.
 
 P. Murugahaiaa, 54enne padre di tre bambini, un tempo era proprietario di un grande appezzamento. Ora deve fare molti chilometri per raggiungere i centri di Kaduruwela, Pollonnaruwa o Hanguranketha e trovare qualcuno che lo prenda a lavorare.
 
La situazione nel villaggio di Kudumbimalai è forse più grave di quella di Welighakandiya. Gli abitanti, 120 famiglie tamil, sono stati reinsediati il 31 marzo scorso dopo aver trovato rifugio durante la guerra nel villaggio di Kirankorakallimadhu. I sei mesi di razioni alimentari garantite dal governo sono già scaduti, manca il cibo sufficiente e gli aiuti promessi per ricominciare a coltivare la terra non li hanno mai visti. Chi cerca di recuperare qualche pesce da mangiare si arrangia con quel che può perché non ci sono strumenti per la pesca.
 
Il villaggio di Kudumbimalai è sotto l’amministrazione dell’esercito. Gli abitanti sono molto preoccupati per il futuro e rimpiangono i giorni da profughi a Kirankorakallimadhu. Ma quando raccontano le condizioni in cui sono costretti a vivere e lamentano il trattamento riservato dal governo chiedono di rimanere anonimi.
 
Uno di loro racconta: “I militari ci hanno costretti a tornare a Kudumbimalai. Un giorno soldati, polizia e ufficiali locali e governativi ci hanno convocato per dirci che se non tornavamo avrebbero dato le nostre terre ad altri che ne avevano bisogno.  Solo per questo motivo siamo tornati”
 
“Non abbiamo acqua, cibo, servizi sanitari minimi, ospedale. La scuola c’è solo sino al quinto anno. Case, terreni, coltivazioni: sono tutti distrutti”, dice sconsolato un altro abitante di Kudumbimalai. “Per farla breve non abbiamo una vita. E oltretutto nessuno può entrare nel villaggio senza il permesso dei militari”.
 
Francis Raajan, che coordina il programma Praja Abhilasha nella zona, spiega che “è molto complicato aiutare questa gente innanzitutto perché abbiamo bisogno del permesso del governo anche solo per andare a vedere la situazione. L’ultimo volta che ci abbiamo provato non ci hanno concesso di entrare”.
 
Raajan afferma che “gli abitanti di Kudumbimalai vivono in una prigione a cielo aperto” e chiede al governo “innanzitutto di lasciare libera questa gente”. “I loro diritti fondamentali sono violati – ribadisce il coordinatore di Praja Abhilasha – e noi siamo pronti ad aiutarli: se queste persone vogliono andare in tribunale a sporgere denunciare noi li sosterremo”.
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