19/02/2004, 00.00
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Roma e Mosca: i passi e le illusioni

di Vladimir Rozanskij

L'ortodossia russa sembra preferire la contrapposizione all'unità con Roma. La visita del card. Kasper a Mosca segna la fine dei grandi progetti ecumenici. Ecco l'analisi di un profondo conoscitore della Russia contemporanea.

Mosca (AsiaNews) - La visita di questi giorni del card. Walter Kasper a Mosca rappresenta una decisa svolta nei rapporti tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa Russa. Negli ultimi 15 anni tali rapporti sono passati da un ingenuo ottimismo alla più cocente delusione. Per la prima volta nessun obiettivo concreto è in discussione nei colloqui che il cardinale avrà con il suo omologo, il metropolita Kirill. Del resto, con un linguaggio più consono alla politica che alle relazioni tra i cristiani, Mosca si è premurata di precisare che tali colloqui sono "non ufficiali". Soprattutto non è nemmeno sottintesa la possibilità di organizzare il viaggio del Papa in Russia, il sogno che ogni diplomatico vaticano conservava finora nella sua borsa da viaggio, quando varcava la ex-cortina di ferro.

La nuova realtà che si è ormai delineata, e che detta la linea della Santa Sede nei rapporti con il Patriarcato di Mosca, è stata detta a chiare lettere dallo stesso Kasper nell'omelia pronunciata ieri davanti ai fedeli cattolici, riuniti nella cattedrale dell'Immacolata Concezione a Mosca: "non ci facciamo illusioni".

Kasper è convinto che "anche piccoli passi fanno andare avanti: un saluto gentile, un gesto di amicizia, un volto sorridente, una preghiera che chiede perdono se abbiamo fatto un errore, un aiuto all'altro che ha bisogno - tutto questo può compiere miracoli". Ma egli confessa pure di essere venuto anzitutto per rincuorare i propri fedeli, sottoposti negli ultimi anni a una pesantissima pressione, a causa delle accuse di "proselitismo" da parte degli ortodossi. "Il fatto che sono qui in Russia,  in questa cattedrale,  già per  la quarta volta" , afferma sempre Kasper nell'omelia, "dimostra la mia stima ed il mio affetto per voi e per tutti i cattolici a Mosca ed in Russia; dimostra che voi, piccolo gregge, non siete dimenticati. Appartenete alla grande  comunione della Chiesa di Cristo in tutto il mondo".

Come ai tempi del periodo sovietico

Da alcuni anni i cattolici russi sono tornati a provare le sensazioni del periodo sovietico, quando il solo fatto di essere cattolico poteva creare noie sul lavoro, a scuola, perfino tra i vicini nel caseggiato. Il cardinale non ignora peraltro che gli stessi cattolici possono essere in parte responsabili del clima di ostilità, e trasmette un pacato ammonimento: "Dobbiamo fare attenzione:  la preghiera del Signore non dice: 'Padre mio', ma  'Padre nostro'. Abbiamo un Padre comune, un Padre che ama non soltanto me, ma anche il mio vicino;  che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, sopra i Russi ed i Polacchi; i cattolici, i greco-cattolici, gli ortodossi e gli evangelici, un Padre dei cristiani e dei musulmani; tutti siamo una grande famiglia sotto un unico Padre celeste".

Nelle parole di Kasper si rende evidente lo stato d'animo che pervade non solo le alte sfere vaticane, a cominciare dallo stesso Giovanni Paolo II, ma tutti coloro che hanno a cuore i rapporti con la Russia e l'Ortodossia. Finora, due linee si erano variamente confrontate all'interno della stessa Chiesa Cattolica: una più intransigente e l'altra decisamente più dialogante. Ma ormai entrambe hanno sbattuto definitivamente contro il muro dell'opposizione ortodossa: nessuno più si illude di trovare una soluzione ai "problemi" che impediscono la normalizzazione dei rapporti, in quanto manca in effetti una volontà di giungere a un chiarimento.

A rendere impraticabile il cammino non sono infatti né l'attivismo proselitista di alcuni preti polacchi, né i sogni di grandezza degli uniati ucraini: tali questioni, che pure hanno significativi risvolti storico-culturali, sono in realtà secondarie o addirittura marginali, essendo i cattolici in Russia un'infima minoranza senza alcuna possibilità di "conquista", e gli uniati, in fondo, il problema di un altro paese. Né le difficoltà sono legate alle personalità in campo: Giovanni Paolo II ha saputo abbattere ben altre barriere nel suo pontificato: è andato a pregare al Muro del Pianto di Gerusalemme; è entrato perfino nelle moschee musulmane, per non parlare degli "incontri di Assisi". Gli ecclesiastici che si sono passati il testimone nei rapporti con Mosca (i cardinali Cassidy e Kasper, i nunzi Colasuonno, Bukovsky, Zur e Mennini) hanno applicato tutte le possibili cautele della diplomazia (che spesso non sono bastate).

Anche da parte ortodossa non si può parlare di ostacoli "personali": il patriarca Aleksij e il metropolita Kirill sono, tra i gerarchi russi, i più avvezzi ai rapporti ecumenici fin dai tempi di Breznev, tanto che una loro successione non lascia certo prevedere un miglioramento in questo campo. Se perfino il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, una delle più limpide personalità super partes in campo ecumenico, si mette a lanciare anatemi e minacciare la fine del dialogo ortodosso-cattolico, è evidente che siamo di fronte a ben più di un contenzioso locale sul numero delle chiese e dei fedeli da spartirsi.

La "terza via" ortodossa

La verità è che oggi in generale, a livello di concezione globale, gli ortodossi, per poter apparire, hanno bisogno della contrapposizione; soprattutto i russi. Il filosofo russo Solov'ev diceva che quando l'ortodossia si getta nella competizione sociale, diventa una "anticamera dell'Islam", nel senso che il messaggio cristiano viene svuotato della sua tensione alla libertà dell'uomo, al suo essere protagonista nella storia.

L'ortodossia cerca di incunearsi proprio tra il "cristianesimo occidentale" cattolico-protestante e le religioni del sud e dell'oriente del mondo, a partire proprio dall'Islam, per legittimarsi come una "terza via", né orientale né occidentale, ed ergersi in qualche modo a giudice di entrambi, come la "religione superiore" del terzo millennio.

Questa è certamente la struttura psicologica dell'ortodossia russa, determinata in buona parte dall'evoluzione sociale e politica del post-comunismo. Grazie alla sua posizione dominante a livello numerico e geografico, l'ortodossia russa trascina con sé (anche se non totalmente) il resto del mondo ortodosso.

Non è ancora dato di vedere l'esito di una tale prospettiva, ma l'impressione è ormai che non vi sia alcun modo di interromperla: essa sta determinando il cammino storico non solo del dialogo ecumenico, ma della stessa politica mondiale. Non si tratta di "far passare la nottata", in attesa che gli ortodossi addolciscano le loro pretese, o di trovare chissà quale chiave diplomatica per far splendere di nuovo il sole tra le "chiese sorelle"; né si deve attendere il cambio generazionale di papi e patriarchi, cardinali e metropoliti: gli ortodossi non vogliono la riunione con i cattolici, non vedono in essa alcun vantaggio, sperano al contrario in una "nuova era" del cristianesimo orientale.

I cattolici vedono ormai quasi inutile inseguire gli ortodossi, mentre al contrario i rapporti con i protestanti si semplificano sempre di più. Non ci sono più illusioni, come afferma il card. Kasper: quando la storia ti supera, tieniti stretto ai tuoi, e spera che gli altri non ti distruggano. Il resto – come può intuire ogni semplice fedele, cattolico o ortodosso che sia – è nelle mani di Dio.

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