29/05/2020, 12.22
IRAQ
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Sacerdote irakeno: oltre i contagi, il Covid-19 affossa l’economia e rilancia l’Isis

Per p. Samir la fame rischia “se possibile, di essere più cattiva” del coronavirus. Giovani disoccupati, famiglie senza risorse divengono obiettivo per il reclutamento al jihad. Nel Kurdistan nuova chiusura delle chiese dopo un parziale allentamento. Giovani vittime cristiane a Baghdad, uccise dal coronavirus. 

Erbil (AsiaNews) - Il virus della fame “rischia di essere, se possibile, ancora più cattivo” del Covid-19 ed è forte il rischio che la crisi economica innescata dal nuovo coronavirus “possa alimentare criminalità e dare nuovo slancio ai gruppi terroristi”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya, nel Kurdistan irakeno, secondo cui potrebbe già essere iniziato “il reclutamento dei giovani” che sono rimasti senza lavoro, né prospettive per il futuro. Intanto lo Stato islamico (SI, ex Isis) ha “ripreso forza in alcune zone” del Paese, sfruttando “le debolezze economiche, sociali e politiche” perché “disponendo di soldi e risorse” finisce per esercitare una forza attrattiva verso il jihad, la guerra santa. 

I gruppi estremisti, dall’Isis ad al-Qaeda, in Medio oriente come in Africa o in ogni parte del mondo “cercano una situazione di debolezza” sociale ed economica “per entrare e attaccare”. Le difficoltà legate al nuovo coronavirus hanno comportato anche un drastico calo nelle risorse “per combattere il fondamentalismo” e questo ha favorito nuovi attacchi. Non è un caso, prosegue p. Samir, che “di recente siano stati uccisi una decina di soldati nei pressi di Kirkuk”, nel contesto di un attacco sferrato “da una cellula locale dell’Isis”. 

Il timore, avverte, “non riguarda solo l’Iraq” e se finora l’estremismo era “legato soprattutto al mondo sunnita, ora nel contesto dello scontro fra Iran e Stati Uniti emergono anche sempre più realtà fondamentaliste anche nella galassia sciita”. Sono milizie “che prendono di mira. Prima di tutto i gruppi moderati all’interno dell’islam stesso” e rappresentano “un pericolo concreto”. 

Il parroco di Enishke, fra i beneficiari della campagna di AsiaNews "Adotta un cristiano di Mosul", conferma i timori di una nuova chiusura per il Paese nel tentativo di contenere la diffusione del virus. “Ai tempi del coprifuoco - spiega - qui nel Kurdistan irakeno siamo riusciti a limitare i contagi. Con la riapertura stanno emergendo nuovi casi, soprattutto legati a persone provenienti da Baghdad, dove si sono verificati i maggiori focolai”. Fra  le vittime vi sono anche cristiani, come testimonia “il decesso di una infermiera cristiana ieri nella capitale, di soli 25 anni. E nei giorni precedenti un’altra ragazza, parte della corale di una parrocchia di Baghdad, anch’essa deceduta per il virus”. 

Nel Kurdistan la situazione era migliore, tanto che le autorità avevano disposto la riapertura delle attività commerciali e persino delle chiese e dei luoghi di culto per le celebrazioni. Ieri è arrivata la marcia indietro, con l’emergere di nuovi contagi nella regione. “Con l’allentamento delle misure restrittive - sottolinea p. Samir - era inevitabile, anche perché non tutti osservano le misure di contenimento della pandemia, fra cui l’indicazione di indossare le mascherine e rispettare il distanziamento sociale. E poi vi sono gli scambi fra Erbil e Baghdad: le comunicazioni fra Erbil e Dohuk sono interrotte, mentre si può viaggiare senza restrizioni da e per la capitale. Ciò ha causato nuovi contagi in queste ore, anche ad Ankawa (4 sui 9 di Erbil) e Dohuk con sette casi”.

All’emergenza sanitaria si affianca il problema economico, che ha inciso in un contesto già di per sé critico a causa di anni di guerre, violenze estremiste, scontri interni. “La crisi - afferma il sacerdote caldeo - inizia a mordere. Il 60% delle persone ha perso il lavoro, il governo trova sempre maggiore difficoltà a corrispondere i salari e vi sono famiglie che non ricevono soldi da almeno due mesi. Il crollo dei prezzi del petrolio, principale se non unica fonte di reddito per l’Iraq, è stato un colpo durissimo e questo fa emergere in modo ancor più marcato” l’errore di essersi affidati quasi solo in esclusiva ai proventi dell’oro nero, “mentre molte fabbriche sono andate distrutte negli anni”. 

Anche l’opera di aiuto e di sostegno della Chiesa ha risentito della pandemia di nuovo coronavirus, perché “per diverso tempo, con le banche chiuse, non sono arrivati aiuti. Adesso - spiega p. Samir - possiamo contare su donazioni alimentari che abbiamo distribuito alle famiglie più bisognose”. Il desiderio è “di far sentire la nostra vicinanza, di restare un punto di riferimento per i più deboli, portando il conforto del Signore e quel poco di cibo e beni di prima necessità che riusciamo a raccogliere”. “In fondo al tunnel - conclude - vi è ancora il buio e non si sa come uscirne, non solo a livello locale, ma per tutto il mondo. Dopo due mesi di chiusure, vediamo profilarsi all’orizzonte lo tsunami che rischia di travolgere l’economia”.

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