San Peter To Rot e la Papua Nuova Guinea di oggi
Durante le canonizzazioni del 19 ottobre papa Leone XIV proclamerà il primo santo di questo Paese dell'Oceania: un catechista laico, marito e padre di famiglia, morto martire per aver difeso il matrimonio cristiano. La riflessione del vice-postulatore p. Ravaioli sull'attualità di questa figura: "Lottò contro la corruzione. Ci dice che cosa vuol dire davvero proclamarsi cristiani".
Città del Vaticano (AsiaNews) - Tra i nuovi santi che papa Leone XIV proclamerà il 19 ottobre - nella Giornata missionaria mondiale - ce n’è uno molto importante per l’Oceania: Peter To Rot (1912-1945) diventerà, infatti, il primo santo della Papua Nuova Guinea. Un catechista laico, marito e padre di famiglia, morto come martire per aver difeso il matrimonio mentre le forze di occupazione giapponesi per ingraziarsi le tribù locali promuovevano la poligamia.
Per la sua canonizzazione dalla Papua Nuova Guinea, oltre ai vescovi, sono arrivate a Roma un centinaio di persone, più qualche altra decina da altri Paesi. Il 20 ottobre, all’indomani della cerimonia, verranno ricevuti in udienza da Leone XIV, mentre la sera il cardinale arcivescovo di Port Moresby, John Ribat, presiederà a Roma la prima Messa in onore del nuovo santo. In Papua Nuova Guinea le celebrazioni ufficiali in onore del primo santo locale si terranno poi a Rabaul, dall’11 al 14 dicembre a Rabaul.
Ma che cosa rappresenta questa figura per la Papua Nuova Guinea di oggi? Pubblichiamo qui sotto una riflessione su questo tema di p. Tomas Ravaioli, missionario dell’Istituto del Verbo Incarnato, vice-postulatore della causa di beatificazione di Peter To Rot.
Che la Papua Nuova Guinea sia una nazione giovane non è un segreto per nessuno: solo pochi giorni fa, il 16 settembre, la nostra nazione ha compiuto appena 50 anni. E, provvidenzialmente, proprio in quest’anno il 19 ottobre avremo il nostro primo santo. Uso la parola "provvidenzialmente" perché ciò che a noi può sembrare una “coincidenza” non lo è per Dio: se ha voluto donarci il nostro primo santo proprio nell’anno in cui la nostra nazione compie 50 anni, c’è un motivo.
Qual è allora la rilevanza di questa canonizzazione per la nostra nazione? Potremmo elencare molti fatti e benefici che questa canonizzazione porta al nostro Paese, ma limitiamoci ai più importanti:
1) San Peter To Rot ci insegna che Dio deve avere la priorità assoluta.
Negli ultimi mesi ci sono stati grandi dibattiti nel nostro Paese sull’opportunità o meno di dichiarare la Papua Nuova Guinea una nazione cristiana. Le discussioni sono state infinite. Ma alla fine, ciò che rende veramente cristiana una nazione non è una dichiarazione politica o un bel documento firmato dai membri del Parlamento, ma la coerenza di vita dei suoi cittadini: se siamo cristiani, dobbiamo comportarci da cristiani. È un’incoerenza (e oserei dire una bestemmia) definirsi “cristiani” e poi dimenticare i comandamenti che ci insegnano a non rubare, non mentire, non uccidere...
To Rot, invece, ci insegna ad essere coerenti con la nostra fede e a mettere Dio come vera priorità nella nostra vita, anche quando questo ci costa la vita. Negli Atti degli Apostoli si racconta che i Giudei, guidati dal Sommo Sacerdote e dal Sinedrio, volevano impedire agli apostoli di predicare, e ordinarono loro con forza di non parlare più del Signore Gesù. E fu Pietro che, a nome di tutti gli apostoli, a rispondere senza paura: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29). Millenovecento anni dopo, in un’altra parte del mondo, un altro uomo di nome Pietro avrebbe detto parole simili: “Hanno portato via i nostri sacerdoti, ma non possono impedirci di essere cattolici e di vivere e morire come tali. Io sono il vostro catechista, e farò il mio dovere anche se questo mi costerà la vita”.
Sì, obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, e mettere la legge di Dio come priorità, fa parte della vita cristiana: chi non mette Dio al primo posto non è veramente cristiano. Gesù ci ha insegnato, con parole e opere, che bisogna essere fedeli fino alla fine, fino all’ultimo giorno della nostra vita, e solo allora riceveremo la ricompensa eterna.
In un mondo in cui molti si dicono “cristiani” ma vivono come veri pagani senza legge, la vita di To Rot ci insegna che Dio deve venire prima e sopra ogni cosa. Era solito ripetere: “L’opera di Dio è tutto”. E mentre era in prigione, disse: “Devo compiere il mio dovere di testimone di Gesù Cristo nella Chiesa.” E anche: “Mi uccideranno per la mia religione”.
2) San Peter To Rot ci insegna che la santità è possibile in ogni stato di vita.
To Rot ci mostra che tutti, qualunque sia il nostro stato di vita, possiamo raggiungere la santità. La santità non è un lusso riservato a pochi, ma una necessità per tutti i membri della Chiesa. Tutti, assolutamente tutti, sono chiamati ad essere santi.
A volte, quando pensiamo ai santi, può sembrare che si tratti di un ideale quasi irraggiungibile. La grande maggioranza dei santi che celebriamo nella liturgia erano persone che hanno fatto grandi cose per Dio: dottori della Chiesa, papi, martiri, missionari in terre lontane, re… Talvolta è difficile imitarli, perché siamo lontani dall’essere una di queste cose.
To Rot, invece, ci mostra che possiamo essere santi in qualunque situazione ci troviamo. Non era né sacerdote, né missionario, né re, né dottore della Chiesa: era un uomo comune, sposato, padre di tre figli, che viveva in una modesta haus morota con la giovane moglie Paula. Ma pur essendo una persona “comune”, Pietro era straordinario. Straordinario per la sua fede, per la coerenza della sua vita, e per la forza con cui affrontava le difficoltà per amore di Cristo.
Il giorno prima della sua uccisione, il capo Anton Tata poté vederlo per l’ultima volta. Più tardi scrisse: “In prigione ho avuto una conversazione da uomo a uomo con To Rot, che mi disse: ‘Sono qui a causa di quelli che infrangono i voti matrimoniali, e di quelli che non vogliono che l’opera di Dio vada avanti. È tutto qui. Morirò. Tu torna indietro a prenderti cura del popolo’. Gli dissi che avrebbe dovuto tentare di corrompere la polizia per ottenere la libertà. Mi rispose: ‘Togliti questa idea dalla testa. Mi hanno già condannato a morte’”.
3) San Peter To Rot ci incoraggia nelle nostre difficoltà.
È ben noto che, nonostante abbia celebrato 50 anni come nazione, la Papua Nuova Guinea è ancora molto indietro in termini di sanità, istruzione, infrastrutture e altri bisogni fondamentali. Vivo a Goroka, e proprio recentemente, durante il weekend del Goroka Show, quando la città era piena di turisti, Goroka ha affrontato ogni tipo di difficoltà.
Sono difficoltà che viviamo ogni giorno: praticamente niente acqua corrente, continui blackout (a volte fino a quattro in un giorno), linee telefoniche che non funzionano mai (nonostante le tariffe elevate)... L’ospedale non aveva medicine e uscire per festeggiare in strada era pericoloso e sconsigliabile. Intanto, vedevamo in tv spettacoli a Port Moresby che devono essere costati milioni di kina. Un vero peccato: mentre alcuni ballavano a Port Moresby, la gente a Goroka aveva sete, era senza elettricità e senza medicine.
È solo un esempio. Sappiamo quanto il nostro popolo soffra nei villaggi più remoti o nel bush. I bisogni fondamentali non sono soddisfatti, e i nostri bambini, giovani e anziani vivono come possono, cercando di sopravvivere in modo dignitoso.
Cosa c'entra tutto questo con Peter To Rot? C'entra perché Peter To Rot era uno di noi: anche lui conosceva l’ingiustizia, la corruzione, la fame, la sete, e la mancanza di servizi essenziali. Eppure, con la forza del suo spirito e la sua fortezza interiore, seppe affrontare tutto.
Ricordiamo che fu imprigionato ingiustamente, e che le guardie giapponesi lo trattarono nel peggior modo possibile. Ricordiamo che To Rot passò giorni senza cibo in prigione, e fu picchiato brutalmente dai carcerieri. Ricordiamo che anche lui fu vittima di menzogne, ingiustizie e corruzione. Ecco perché il suo esempio ci incoraggia nelle nostre lotte e nei nostri momenti di difficoltà e scoraggiamento.
Concludo quest’articolo con la testimonianza di sua moglie, Paula Ia Varpit: “Due giorni prima della sua morte, feci una delle mie visite regolari a mio marito. Mi chiese di portargli un rasoio, un perizoma e il suo crocifisso da catechista, che aveva nascosto in una valigia con i fogli dei canti. Il giorno dopo arrivai alla prigione più presto del solito, portando con me ciò che mi aveva chiesto. Portai con me anche i nostri due figli. Gli cucinai un pollo con degli ignami. To Rot sembrava aver perso l’appetito, e io mi sentivo un po’ in ansia, poiché non aveva spiegato perché voleva quelle cose da casa. Esprimendo le mie paure, lo pregai di abbandonare la vita da catechista, e di scegliere piuttosto una vita tranquilla e ritirata. To Rot mi rispose: ‘Non ti preoccupare. È mio dovere morire per Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e per il mio popolo’. Poi fece il segno della croce. Non mostrò alcun segno di paura o dolore. Restammo seduti insieme a lungo, poi To Rot mi esortò a portare a casa i bambini”.
Fu l’ultimo incontro tra Pietro e Paula. Poche ore dopo, il buon catechista avrebbe versato il suo sangue per amore di Cristo, irrigando per sempre la nostra terra.
* missionario dell’Istituto del Verbo Incarnato in Papua Nuova Guinea, vice-postulatore della causa di beatificazione di Peter To Rot
31/03/2025 13:00




