Sicurezza nazionale: a Hong Kong si riparla di estradizioni a Pechino
Il governo locale chiede all'Assemblea legislativa (che controlla) di approvare un'ulteriore norma che affiderebbe alla Cina continentale la giurisdizione dei "casi complessi" che coinvolgono Paesi stranieri. Una misura che sembra su misura del caso di Jimmy Lai. Citata come motivazione la "situazione geopolitica". Proprio il no all'estradizione era stata nel 2019 il primo passo delle proteste pro-democrazia.
Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) - Le autorità di Hong Kong hanno proposto di creare un meccanismo che consenta alla Cina continentale di esercitare la giurisdizione sui casi di sicurezza nazionale, basandosi su un articolo della legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino, aprendo alla possibilità che i casi “complessi” possano essere perseguiti oltre confine.
Il dipartimento per la Sicurezza ha pubblicato lunedì un documento per il Consiglio legislativo, in cui presenta una lista di proposte per l'aggiunta di una legislazione secondaria all’articolo 23, la legge locale sulla sicurezza nazionale approvata un anno fa a Hong Kong. Secondo il governo, i rischi per la sicurezza nazionale esisterebbero ancora a causa dell’attuale “situazione geopolitica complicata”. Tra le proposte, ce n'è una che riprende l'articolo 55 della precedente legge su questa materia - quella imposta da Pechino nel 2020 - secondo cui l'ufficio di Pechino che a Hong Kong si occupa di sicurezza nazionale dovrebbe poter “esercitare giurisdizione” sui casi previsti dalla legge. I media locali lo definiscono l’articolo “sull'estradizione in Cina” delle persone accusate di minacciare la sicurezza nazionale.
Secondo il governo di Hong Kong la mossa dovrebbe poter essere adottata quando il caso è “complesso” a causa del coinvolgimento di Paesi stranieri, come viene affermato nell'articolo 55. Ma in molti casi – ad esempio quello di Jimmy Lai, citato nei gionri scorsi anche del presidente degli Stati Uniti, Donald Triump – il semplice fatto di aver contatti con personalità straniere viene citato come prova di un’influenza esterna.
La legislazione secondaria proposta rientrerebbe nell'Articolo 23, la legge sulla sicurezza nazionale sviluppata localmente della città. Essa mira a punire il tradimento, l'insurrezione, il sabotaggio, l'interferenza esterna, la sedizione, nonché il furto di segreti di stato e lo spionaggio. Il Consiglio legislativo di Hong Kong - il parlamento locale formato da “soli patrioti” - si riunirà in seduta straordinaria questo pomeriggio per discutere questo documento. Le modalità fanno pensare che potrebbe arrivare molto presto una mera ratifica.
Proprio la questione dell’estradizione in Cina nel 2019 era stato il catalizzatore che aveva portato alle grandi proteste del movimento pro-democrazia, che portarono i piazza due milioni di persone a Hong Kong. Il timore diffuso era per il ricorso a un sistema giudiziario non rispettoso dei diritti umani, che la gente di Hong Kong vedeva come un’influenza inaccettabile della Cina nel territorio, che avrebbe segnato la fine dello stato di diritto e del principio “un Paese, due sistemi”, che garantiva un sistema liberale nella ex colonia britannica.
La norma sull’estradizione in Cina era stata ritirata dall’allora governatrice Carrie Lam sull’onda delle proteste. Ma la durissima repressione scattata nel 2020 per fermare il movimento pro-democrazia con l’arresto di tutti i principali leader e centinaia di giovani manifestanti tuttora in carcere ha già di fatto svuotato l’autonomia del sistema giudiziario di Hong Kong. La riproposizione di un provvedimento che permetterebbe di estradare a Pechino gli accusati di minaccia alla sicurezza nazionale rappresenterebbe in qualche modo, dunque, la chiusura definitiva del cerchio.
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