15/12/2005, 00.00
Hong kong – cina - WTO
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Sindacalista cinese: "Il Wto fallisce perché non ha linee guida etiche o morali"

Han Dongfang, fondatore del primo sindacato libero cinese, spiega ad AsiaNews che il "Wto potrebbe avere un ruolo importante nell'esportazione di valori che proteggono i lavoratori". Per salvarsi, la Cina "deve cambiare mentalità e concedere sindacati liberi".

Hong Kong (AsiaNews) – "I grandi dell'economia mondiale riuniti ad Hong Kong hanno fallito perché pensano al commercio fine a sé stesso, senza linee guida etiche o morali". Han Dongfang, fondatore del primo sindacato libero in Cina, spiega così ad AsiaNews il fallimento del 6° meeting dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che si è riunito ad Hong Kong il 13 dicembre.

Han ha passato anni in prigione dopo il massacro di Tiananmen. Ammalatosi, Pechino lo ha "liberato per ragioni mediche" (praticamente espulso) negli Stati Uniti. Al suo ritorno, le guardie di frontiera gli hanno ritirato il passaporto. Da apolide, ospitato ad Hong Kong, oggi dirige il China Labour Bulletin, con notizie sulla situazione dei lavoratori in Cina.

"Il Wto – spiega – sta fallendo anche questa volta perché, per migliorare la situazione del commercio interno, ogni nazione guarda al profitto e spinge la propria classe lavoratrice sempre più in basso. Così il Wto si riduce quasi ad un mero incontro di industriali. E i ricchi diventano più ricchi ed i poveri più poveri".

"Questo fenomeno – sottolinea - è presente soprattutto nelle nazioni sotto-sviluppate, ma si ritrova anche in Stati che non danno regole chiare a questo mondo. E' il caso della Cina, nuovo gigante dell'economia mondiale, che non ha alcuna vera regolamentazione del lavoro e dove non esistono sindacati liberi".

In questo senso "il Wto potrebbe avere un ruolo importante che però non esercita".

"La riunione dei 149 delegati degli Stati membri – continua - va visto sotto 2 lenti diverse. Da un lato, l'Organizzazione ha valenza positiva perché vi si intuisce la volontà di esportare alcuni canoni economici e lavorativi dei Paesi occidentali in Paesi dove questi non esistono. Da un altro punto di vista è invece negativo, perché la vastità della riunione non permette la discussione di problemi locali, più sentiti e più urgenti per i lavoratori".

Per Han, tuttavia, il mondo industriale occidentale "non va biasimato per la decisione di investire in mercati dove i lavoratori sono meno protetti. E' la natura degli affari e degli affaristi. Anche gli industriali indiani spostano le loro fabbriche in Cina perché la forza lavoro costa meno".

Quello che deve cambiare "è la mentalità dei lavoratori. Solo grazie ad unioni sindacali indipendenti, che nascono da una vero desiderio di modificare la situazione, i lavoratori cinesi potranno riscattarsi".

 

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