08/06/2012, 00.00
SIRIA
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Siria, Kofi Annan: il piano di pace ha bisogno dell'intervento del Consiglio di sicurezza

L'inviato di Onu e Lega araba invita tutti i membri del Consiglio di sicurezza a fare pressioni sul regime. Questi sarebbe il principale responsabile del clima di violenza nel Paese. Fonti di AsiaNews: la battaglia per la democrazia iniziata nel 2011 ha lasciato il posto a una lotta tra fazioni. Scontri e morti proseguiranno con o senza Assad.

Damasco (AsiaNews) -  I massacri di Houla e al-Qubair sono  la prova che il piano di pace  di Onu e Lega araba è fallito e che non vi è stato alcuno sforzo da parte del governo siriano di porre fine alle violenze. Alla riunione del Consiglio di sicurezza,  Kofi Annan, inviato  di Nazioni Unite e Paesi arabi, ha invitato tutti i 15 Paesi membri a fare pressioni sul governo, sottolineato che solo un'assunzione di responsabilità da parte del regime di Bashar al-Assad può porre fine agli scontri. Ma il regime non sembra intenzionato a deporre le armi e a fermare le azioni violente di esercito e milizie para militari che agiscono nei territori controllati dai ribelli.    

"Finora -  ha affermato l'ex segretario Onu - la  comunità internazionale è stata unita, ma tale unità deve passare a un nuovo livello". Secondo Annan il piano di pace non è morto, come molti hanno dichiarato in questi giorni, ma non è stato applicato e se continueranno gli scontri armati non sarà più possibile evitare una devastante guerra civile. La nuova proposta di Annan è la creazione di un "gruppo di contatto" formato dalle potenze mondiali - Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina - e dei principali attori regionali che abbiano influenza sul governo di Damasco o sull'opposizione, come Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Iran. Il tentativo è anche quello di sbloccare la situazione di stallo tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ottenendo il sì di Russia e Cina ad un progetto di transizione politica che conduca il presidente al Assad a farsi da parte. Oggi, Mosca e Pechino hanno ribadito il loro no a una delegittimazione generalizzata del regime di Assad, pur condannando i fatti di Houla e al-Qubair.

Fonti di AsiaNews in Siria, anonime per motivi di sicurezza, spiegano che l'Onu si affanna a cercare una soluzione, ma nessuno ha compreso ciò che sta accadendo. Tutti gli stranieri non musulmani che giungono nel Paese - diplomatici, funzionari, giornalisti - sono in balia delle varie fazioni in lotta. Gli stessi osservatori Onu hanno enormi difficoltà ad agire sul territorio e ciò impedisce una visione chiara della situazione e le future strategie per una rapida conclusione del conflitto. Ieri, alcuni miliziani, di cui non è ancora nota l'identità, hanno sparato contro la delegazione delle Nazioni Unite incaricata di far luce sul massacro di al-Qubair costato la vita a 78 persone. In queste ore un gruppo di osservatori ha raggiunto la zona della strage, ma sembrerebbero sotto il tiro dei cecchini di entrambe le parti.   

"La battaglia per la democrazia iniziata nel 2011 - affermano - è in realtà una lotta fra fazioni. Ciò è tipico del mondo islamico che confonde libertà con anarchia, rappresentanza parlamentare con supremazia del più forte. Le forze in campo si scontreranno finché una non prevaricherà sull'altra. La spirale di violenza proseguirà con o senza Assad, a farne le spese saranno tutti i siriani, che sono già vittime di  sanzioni, rapimenti, omicidi, violenze delle milizie islamiche straniere che si stanno allargando anche a zone a tutt'oggi fuori dal conflitto, come ad esempio Aleppo ". L'unica soluzione alla guerra totale è la via diplomatica portata avanti attraverso il dialogo, anche duro, con il regime, che nonostante le violenze compiute è l'unico interlocutore in grado di controllare i suoi esponenti. L'opposizione del Consiglio nazionale siriano (Cns) appare come un insieme indistinto di correnti. Essi non hanno nessuna influenza sugli estremisti islamici che grazie alle armi fornite dai Paesi arabi continueranno a combattere prima contro Assad e gli alawiti e in seguito contro tutte le minoranze religiose presenti in Siria, soprattutto i cristiani. (S.C.)  

 

 

 

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