21/04/2021, 13.56
SRI LANKA
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Stragi di Pasqua, vescovo metodista: cristiani non siano ostaggio della politica

di Melani Manel Perera

Il 21 aprile 2019 gli attacchi fecero 269 vittime. L'ex leader della comunità metodista di Colombo Asiri Perera invita ad andare oltre le ferite: "La giustizia di Dio l'unica nostra guida". 

Colombo (AsiaNews) – Oggi ricorre il secondo anniversario degli attacchi della Pasqua 2019, quando un gruppo di estremisti islamici portò a segno una serie di attentati suicidi contro tre chiese (due cattoliche e una evangelica) e tre alberghi, provocando 269 morti e ferendo circa 500 persone. La ricorrenza cade mentre nel Paese la comunità cristiana sta protestando da settimane per la lentezza nelle indagini che finora si sono fermate agli esecutori materiali delle stragi. La Chiesa cattolica ha criticato soprattutto il rapporto presentato dalla commissione di inchiesta istituita dal governo, giudicandolo reticente.

In questo clima un invito a non rimanere ostaggio dello scontro politico sulla verità giudiziaria, ma a guardare a partire dalla Pasqua alle necessità del Paese oltre le sue ferite, viene dall'ex vescovo metodista di Colombo Asiri Perera. “Purtroppo - commenta ad AsiaNews - abbiamo lasciato certi politici prendere in mano la questione. Sembra quasi che gli attacchi di Pasqua siamo diventati la causa per rimuovere un governo e farne un altro. Come cristiano rifletto sulle battaglie per la giustizia che trovo nella Bibbia e credo in maniera ferma siano l'unica fonte di ispirazione su cui possiamo fare affidamento. Nessuno può fuggire dalla giustizia divina, nessuno può intimidire Dio. Anche se con questo non voglio certo anestetizzare chi soffre a causa dell'ingiustizia umana o ritenere che siamo all'ultima spiaggia quando tutto il resto è fallito”.

“Se, come sta avvenendo, non ci viene detta la verità su quanto accaduto – continua il vescovo Perera - la comunità cristiana dello Sri Lanka deve trovare nella Scrittura e nella preghiera le vie perché la lotta per la giustizia non sia confinata solo nelle proteste in strada o nelle dichiarazioni rilasciate ai media. Non dimentichiamo che le vittime sono state uccise mentre celebravano il Risorto, nel giorno di Pasqua. Temo che ce lo stiamo dimenticando: anche nella mente di molti cristiani Pasqua sta diventando un sinonimo degli attentati del 2019, come se il suo messaggio fossero le molte vite perse. Invece anche oggi siamo chiamati a essere testimoni della resurrezione di Cristo. Gli Atti degli Apostoli ci ricordano che un piccolo gregge con la resurrezione di Gesù è diventato una forza capace di trasformare il mondo. Che cosa vuol dire oggi per i cristiani dello Sri Lanka?”.

“La Pasqua cristiana – aggiunge ancora il presule metodista - è legata alla tradizione ebraica di Mosè con il passaggio del Mar Rosso. Gesù gli ha dato un significato nuovo annunciando il grande potere di Dio nel dare vita e resurrezione. Ma sono entrambi eventi che parlano di una comunità trasformata da un passaggio. Ecco: per la comunità cristiana è venuto il momento di viverlo, piuttosto che riporre la propria fiducia nei governanti di questa nazione, chiunque essi siano. Per quanti abiti neri indosseremo, per quante marce organizzeremo non riusciremo ad addolcire il cuore duro dei faraoni del nostro tempo. Tutto ci dice che il presente e i futuri governi continueranno la loro marcia, ignorando e lasciando indietro chi chiede giustizia per gli attacchi di Pasqua. Lasciamoli alle loro piaghe d'Egitto e guardiamo a Dio che ascolta il grido del suo popolo”.

Il vescovo Asiri Perera invita infine a concentrare l'attenzione sul peso portato dai parenti delle vittime: “I cristiani dello Sri Lanka devono aiutarli ad andare oltre quanto è successo due anni fa. Devono sostenere concretamente chi ha perso un proprio caro a non rimanere prigioniero di un peso irrisolto. Non dobbiamo lasciarli nelle mani di chi preferisce tenere aperte le loro ferite per portare avanti le proprie agende. Alcuni negano ancora quanto accaduto, altri covano il loro risentimento e stanno scivolando nella depressione. In quanti hanno sofferto c'è un sentimento strisciante di rabbia nei confronti della comunità musulmana. Ma anche nel cuore di tanti musulmani c'è un peso, vorrebbero esprimere solidarietà ma hanno paura di essere fraintesi o respinti. Su tutto questo è importante solo sapere che chi fu la mente degli attacchi? Anche se lo sapessimo non riporterebbe in vita chi non c'è più. E allora la vera battaglia è: come fare i conti davvero con questi lutti? Da quale speranza ripartire per andare avanti?”.

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